«Aspromonte – La terra degli ultimi racconta un bisogno di esistere universale»
L’uscita in sala di Aspromonte – La terra degli ultimi è stata l’occasione per una lezione di cinema con l’ideatore di questo toccante film, Mimmo Calopresti, e con uno dei co-protagonisti, Marcello Fonte. A coordinarla, in una sala gremita e ancora frastornata positivamente dalla visione, è stato il vicedirettore di Vanity Fair Malcom Pagani. «Come un gioco dell’oca sentimentale, ha raccontato una storia universale, ancestrale e quanto mai attuale, riportandoci alle origini». Con queste parole il giornalista ha voluto introdurre la prima domanda.
D: Come hai avuto l’idea di mettere in scena una storia ancorata ai racconti della tua infanzia?
Mimmo Calopresti: Ho realizzato questo film in primis perché ho avuto l’opportunità di farlo grazie a Fulvio Lucisano, che oggi ha novant’anni, il quale ha affrontato tutti i generi, lavorando anche coi grandi del cinema nostrano. Lui ha la passione vera per la Calabria di cui Fulvio è originario, infatti è stato lui a voler dedicare alla gente di Calabria questo lungometraggio. Così come ha la passione vera per la Settima Arte. Poter girare in posti che sono dentro le fiumare, parlare in dialetto, stare sotto la pioggia: tutto questo gli ha ricordato il cinema che amava da giovane. Questa sua sensibilità è stata fondamentale; in più avevo letto il libro “Via dall’Aspromonte” dove veniva narrata la costruzione della strada, che in fondo è una grande utopia. Personalmente mi attraeva molto l’idea di una storia epica, che è quella degli ultimi. L’Aspromonte è veramente abbandonato, abbiamo ricostruito pietra su pietra l’intero villaggio. Vedere questi bambini che oggi sono un’altra cosa rispetto a ciò che aveva immaginato la mia fantasia, se consideriamo anche il mito del telefonino ha trasformato tutto in un’avventura, riportandoli in un mondo antico. Questo film diventa una storia viva perché quei luoghi e quelle persone lì ci sono ancora. Esistono ancora le maestre che scioperano perché non hanno abbastanza bambini per le classi o se pensiamo alle navi a largo o all’impegno di Mimmo Lucano.
Questo lungometraggio racconta un bisogno di esistere universale. Stiamo per diventare degli invisibili visto che la nostra visibilità passa attraverso mezzi in cui siamo noi strumenti di quel mondo e contiamo sempre meno.
D: A un tratto arriva un gruppo di giornalisti a documentare la battaglia – concreta e metaforica – per la strada. Una delle protagoniste del film, osservandosi sul giornale, afferma: «siamo così poveri?» rivolgendosi al poeta (M. Fonte) e la donna aggiunge: «con le parole non si mangia». E qui il poeta controbatte: «le parole nutrono l’anima». Cos’ha significato per te confrontarti con questa storia, in quei luoghi?
Marcello Fonte: Al di là del fango, della pioggia, dei piedi nudi, secondo me ciò che più caratterizza quest’opera è il ricordarci come eravamo prima, com’erano i nostri genitori. Toccare con mano quella pietra che effettivamente veniva utilizzata negli anni ’50 e i ragazzini di oggi coi capelli rasati lo hanno rivissuto. Il ricordo ha dato il sapore a questo film.
D: Assistiamo a grandi scontri: tra padri e figli, tra mentalità diverse (se pensiamo al personaggio di Valeria Bruni Tedeschi)…
M. Calopresti: Io solitamente ho realizzato film intimisti, pieni di dolore e infelicità. Qui abbiamo un’altra lettura: quello dello sguardo lontano, che corrisponde anche a un cinema western e lo si coglie pure nel modo di inquadrare il paesaggio. In quel genere i protagonisti partivano con le carovane, si scontravano coi pellerossa mossi dalla volontà di conquistare la civiltà e questo lo si percepisce anche in Aspromonte. La popolazione vuole infatti andare a Marina, dove ci sono il medico, il prefetto ed è così che finisce anche la libertà. Per me, in questo film, l’Aspromonte è il Paradiso che perdiamo per sempre per finire da un’altra parte dove ci sembra che ci sia qualcos’altro.
D: Mimmo, come immaginavi la Settima Arte agli inizi?
M. Calopresti: il cinema ha la peculiarità di essere il luogo del sogno, della favola e al contempo dell’incubo. È il posto dove puoi essere molto libero, dipende da come lo abiti tu. Il mio compito è raccontare e questa può essere una possibilità di cambiamento.
M. Fonte: il problema della Calabria sta nel fatto che alcuni crescono in un ambiente in cui credono che il male sia la strada e non conoscono il bene. Bisogna far comprendere che non è l’arma a farti vincere, ma il cervello.
L’attore ha aggiunto che alcuni dei giovanissimi coinvolti nella lavorazione, colpiti dall’esperienza, hanno proseguito decidendo di studiare cinema.
Maria Lucia Tangorra