Un posto nel mondo
Per molti film, in particolar modo quelli indipendenti e gli esordi, il circuito festivaliero rappresenta una vera e propria distribuzione alternativa, che va di fatto a sopperire in maniera più che valida all’assenza spesso ingiustificata di una circuitazione canonica e ufficiale nelle sale, nella stragrande maggioranza dei casi – per non dire sempre – legata a regole non scritte di un sistema che non tutela, non meritocratico e machiavellico per quanto concerne le dinamiche. Registi e produttori devono di conseguenza fare di necessità virtù, potendo contare solo sulle proprie forze e valutando soluzioni altre. Tra queste c’è appunto anche la rete dei festival. Allora ben vengano manifestazioni come Castiglione del Cinema che hanno deciso di incentrare la programmazione sul cinema degli emergenti e sulle opere prime e seconde, offrendo di fatto occasioni di visibilità alla pellicola di turno. Tra quelle presenti nella line-up dell’edizione 2024 figurava anche Le ragazze non piangono di Andrea Zuliani, proietta nella kermesse di Castiglione del Lago dopo un lungo, fortunato e premiato percorso a tappe dentro e fuori dai confini nazionali iniziato con la partecipazione alla sezione autonoma “Alice nella Città” della Festa del Cinema di Roma 2022. Ed è nel corso della tappa umbra che abbiamo potuto vedere e apprezzare il film del cineasta capitolino, qui al suo debutto nel lungometraggio dopo alcuni corti e svariate esperienze da aiuto regia in importanti produzioni cinematografiche e seriali tra cui Gomorra e L’amica geniale.
Scritto a quattro mani con Francesca Scanu, Le ragazze non piangono ci porta nella vita di Ele, una diciannovenne in procinto di affrontare l’esame di maturità, che non riesce a pensare ad altro che al vecchio camper del padre, abbandonato in una rimessa da quando lui è morto. Ora sua madre vuole darlo via, e lei non può sopportarlo. Mia di anni ne ha invece ventuno e fa le pulizie nella scuola che Ele frequenta. Il suo fidanzato, spacciatore, ha tra le mani un affare che potrebbe dare una svolta alle loro vite. Mia ed Ele si incontrano per caso, diventano complici fumando di nascosto nella scala antincendio della scuola e i loro mondi così lontani inspiegabilmente collidono. Così quando Ele si ritrova a scappare in camper il giorno dell’orale per impedire che sua madre lo venda, ci trova nascosta Mia. A un certo punto del viaggio, Ele pensa quasi di essersi innamorata di Mia. E la meta sarà più grande e importante di quella stabilita, un luogo dell’anima in cui non sarebbero mai giunte l’una senza l’altra.
La sinossi rivela subito la duplice natura genetica dell’opera prima di Zuliani, con il road movie su quattro ruote che si mescola senza soluzione di continuità con il coming of age. Questi due filoni, entrambi molto frequentati dalla Settima Arte, con relativi temi e soprattutto stilemi ampiamente codificati nell’immaginario e nella letteratura di riferimento al seguito, vengono ben amalgamati ed equilibrati in uno script e nella sua trasposizione nei quali si respira al contempo l’aria del film di viaggio dall’imprinting a stelle e strisce (con la mente che torna di default date alcune analogie a Thelma & Louise) e l’approccio e la sensibilità del romanzo di formazione di stampo europeo (un po’ come era stato a suo tempo per Questi giorni di Giuseppe Piccioni). Il punto di forza di Le ragazze non piangono sta proprio nella capacità della scrittura in primis di essere riuscita a fondere e fare coesistere queste due anime, senza che l’una fagocitasse l’altra, in modo che si alimentassero narrativamente, drammaturgicamente e tematicamente a vicenda. Non c’è quindi nulla di nuovo in termini di plot da dichiarare rispetto al già visto, ma era scontato viste le regole d’ingaggio. Ciononostante il risultato riesce a toccare e fare suonare tutta una serie di corde emozionali, al punto da farle vibrare e lasciare nello spettatore qualcosa. L’autore sembra mirare più a questo e il risultato per quanto ci riguarda gli dà ragione. Come ogni film di viaggio che si rispetti il punto di partenza e la destinazione non sono soltanto fisici, ma rappresentano quella distanza metaforica che tra fuga e scoperta di sé permette ai personaggi di turno di esplorare topografie geografiche ed esistenziali. Le traiettorie, le dinamiche e le one-lines del racconto e delle figure che le animano percorrono dunque contemporaneamente questa strada a doppia corsia muovendosi da una parte all’altra fino all’arrivo.
Il viaggio fisico ed emozionale, in cui si materializza sullo schermo una mappatura fatta di luoghi e persone ma anche interiore con emozioni, sensazioni e stati d’animo cangianti, permette al film di colmare le distanze, abbattere i muri e avvicinarsi catarticamente alle due protagoniste, custodi e portatrici sane a loro volta di qualcosa che ci appartiene e in cui ciascuno di noi può ritrovarsi. Si tratta di due ragazze diverse ma unite da dolori profondi, da mancanze incolmabili, quelle di affetti lontani o venuti meno. Entrambe hanno rapporti difficili con i genitori, sono in cerca della propria identità e di un posto nel mondo. Ed nel corso del rocambolesco viaggio (per fortuna mai stucchevolmente cartolinesco da cine-tour) a bordo di un camper sgangherato, tra confini e passaggi materiali ed astratti, con un bagaglio carico di incontenibile voglia di vivere, di essere libere e di amare, che la coppia scopre, esplora e riceve delle risposte. Il tutto all’insegna di una verità che trasuda tanto dalla sincerità dello sguardo del regista che dalle preziose e riuscite performance davanti la macchina da presa di Emma Benini e Anastasia Doaga.
Francesco Del Grosso