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Le grand bal

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VOTO: 7.5

Sì, ballare!

Tra le visioni speciali al Festival di Cannes 2018 e, finalmente, anche sugli schermi italiani, il documentario Le grand bal, firmato Laetitia Carton, si è rivelato un prodotto assai singolare, sentito e ricercato, dove uno sguardo documentaristico ben si sposa con l’esperienza del tutto personale della regista, la quale ha fatto del presente lavoro qualcosa di estremamente intimo e personale.

Ma cos’è, di fatto, questo Grand Bal? La scena si apre con l’inquadratura di una strada, nel momento in cui la macchina della regista si sta avvicinando verso i luogo dove sta per prendere il via questa vera e propria “maratona danzante” della durata di dieci giorni. Le grand bal, dunque, ha luogo ogni estate in un angolo della remota campagna francese. In questi giorni un nutrito gruppo di danzatori e danzatrici – esperti e non – si incontrano al fine di imparare, ogni giorno, nuovi tipi di balli, per poi scatenarsi alla sera, tentando di dormire, nei rari momenti di pausa, al fine di recuperare le energie per una nuova giornata.
Come la stessa voce della regista sta a raccontarci in apertura del presente lavoro, per lei il ballo – e, più in generale, l’arte della danza – ha sempre significato molto. Sin da quando la stessa aveva venticinque anni. Ed ecco che, sin da subito, Le grand bal, più che un’opera dagli intenti prettamente documentaristici, ci si presenta quasi come un modo di confidarsi della stessa Laetitia Carton, nel raccontarci una sua grande passione e un evento per lei particolarmente significativo.
Eppure, nonostante ciò, fatta eccezione per qualche sporadica “intrusione” della sua voce fuori campo, la regista resta quasi apparentemente invisibile per l’intera durata del documentario, lasciando la parola quasi esclusivamente alle immagini e ponendosi, sin dal momento del suo arrivo presso la singolare manifestazione, come spettatrice, silente e riverente nel mostrarci questi dieci giorni di full immersion nel mondo della danza.
In concomitanza con i partecipanti alla manifestazione, dunque, anche lo spettatore inizia questa singolare avventura dove a fare da padroni di casa sono luci, colori, musiche, e tante, tante persone con una grande passione in comune. La scelta della Carton di “limitarsi” a riprendere il tutto, risulta, dunque, assai indovinata, quale maniera maggiormente efficace a tramettere allo spettatore la stessa gioia, lo stesso entusiasmo che si prova sul posto.
Al via, dunque, variopinte danze, chiacchiere, risate, mani che si stringono, persone in cerchio a formare una sorta di girotondo e, non per ultimi, partecipanti di tutte le età che si ritagliano, di quando in quando, un pisolino tra una pausa e l’altra.
Lavorando di sottrazione, dunque, Laetitia Carton ha dato vita a un prodotto nel suo piccolo raffinato ed elegante, gradevole e profondamente sentito, il quale, a suo modo, si ricollega anche alle tradizioni del passato (a tal proposito, sin troppo brevi e sporadici sono i filmati di repertorio che ci mostrano anziani signori danzanti), mettendo, in senso lato, l’essere umano e le sue tradizioni al primo posto, per un racconto universale che ci racconta, finalmente, qualcosa di insolito. Qualcosa di bello.

Marina Pavido

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