Storie di ordinario razzismo
Quattro episodi, un denominatore comune: il razzismo nelle sue diverse forme ed effetti. Questo il tema principale de L’amore ti salva sempre di Antonio Andrisani e Vito Cea. Uno scrittore in declino, interpretato da Andrea Roncato, trova nel misterioso ‘Elefantino’ nuova ispirazione; o meglio, i racconti di quest’ultimo, pubblicati su una rivista, lo spingono a cercarne l’autore per farne il proprio ghostwriter. Dietro lo pseudonimo Elefantino si cela un commesso di colore di un supermercato con la passione (e la penna) della scrittura; il suo incontro con il melanconico ed ambiguo Roncato è la storia di raccordo dei quattro episodi, quattro racconti che dal foglio prendono vita sullo schermo: “Occhi”, “Piove”, “Motin”, “Cheese”. Tra gli interpreti, oltre al già citato Roncato, il poliedrico Pietro De Silva ed il bravo Amin Nour.
Storie di ordinario razzismo, che tutto è fuorché ordinario; un’atleta di colore rischia di perdere un occhio dopo esser colpita da un uovo lanciato da due sbandati, una rider in bicicletta viene derubata del mezzo di trasporto e costretta a subire le avance di chi le ha trovato il lavoro, un barcone di immigrati clandestini viene lasciato al proprio destino in mare aperto, un concorso di bellezza truccato prevede la vittoria di una ragazza di colore per aumentare la popolarità dell’amministrazione comunale facendo leva sulla propaganda dell’integrazione.
Se “Occhi” riporta alla memoria un fatto di cronaca di pochi anni fa, quello dell’atleta della nazionale italiana di origine sudafricana Daisy Osakue, aggredita a Moncalieri da alcuni giovani con un lancio di uova riportando l’abrasione di una cornea, “Piove” vuol richiamare il cinema neorealista citando il capolavoro di De Sica Ladri di biciclette; Motin ci riporta poi al nostro presente, alla cronaca attuale, con i barconi di immigrati in fuga dal proprio paese lasciati a morire in mare, mentre l’ultimo episodio, “Cheese”, affronta con ironia un razzismo ‘al contrario’, in cui essere di colore è il requisito fondamentale per essere eletta reginetta di bellezza, in un concorso che ha le sue radici nell’immediato dopoguerra, in quel primo Miss Italia del 1947 da cui sono derivati migliaia di concorsi minori.
Andrisani intesse nel suo film uno sguardo alla cronaca recente (l’aggressione della Osakue è di pochi anni fa) ed uno all’attualità (gli sbarchi degli immigrati sono all’ordine del giorno) con uno, nostalgico, al nostro cinema d’autore, rivisitato in chiave moderna ed un altro ironico verso la politica che utilizza i temi chiave dell’attualità per farne propaganda a proprio favore. Il razzismo è il tema centrale, ma dà il la ad una serie di ampie considerazioni; dalla xenofobia crescente alla violenza subdola sulle donne in posizione di subalternità, dall’immigrazione forzata da paesi in guerra o dalla povertà al ruolo attuale della politica e del potere, sempre più rivolti verso se stessi e meno al Paese che dovrebbero guidare e servire. L’amore ti salva sempre, ma nel film di Andrisani non salva nessuno; anzi, l’amore è forse il grande assente, salvo quello per la musica, mostrato in “Motin” e di cui è simbolo la chitarra superstite, che testimonia come la musica possa viaggiare senza confini da un continente all’altro, per espandersi nel mondo intero.
Michela Aloisi