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La voce del lupo

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VOTO: 6

Battito animale

Alla 18esima edizione del Trieste Science + Fiction Festival la rinnovata sezione “Spazio Italia” ha ospitato l’anteprima mondiale de La voce del lupo, l’opera prima di Alberto Gelpi che racconta la storia di Nico, un poliziotto violento, rientrato dopo anni nel suo paese per dare l’ultimo saluto alla madre Eleonora, ammalatasi all’improvviso. Negli stessi giorni alcuni cadaveri vengono ritrovati nel bosco, messi in mostra come in un macabro monito. Eppure le tracce indicano che gli omicidi non sono stati compiuti da mano umana ma da un bestia enorme. La polizia è convinta che Nico sia connesso ai delitti, e lui stesso comincia ad avere dubbi su di sé perché si sente “cambiato”. Dopo aver rovistato in casa di Eleonora in cerca di qualche spiegazione, Nico scopre una terribile verità su suo padre. Grazie al Professor Moreau, un vecchio conoscente di famiglia, Nico cercherà di entrare in contatto con la sua vera natura.
Dalle righe della sinossi ufficiale è possibile rintracciare con quali generi e filoni il regista romano ha alimentato una pellicola che mescola senza soluzione di continuità gli ingredienti raccolti per parlare attraverso i codici di riferimento di legami affettivi (biologici e sentimentali), malavita (non possiamo entrare nei dettagli per non spoilerare), ma soprattutto di un tema universale come l’accettazione di se stessi e della propria natura anche in condizioni estreme. Gelpi attinge a piene mani dal vastissimo bagaglio lasciato in eredità ai postumi per dare vita ad un mix di poliziesco, noir, thriller e fanta-horror, che vede i suddetti colori trovare ciascuno a proprio modo il rispettivo spazio sulla tavolozza preparata per lui dallo sceneggiatore Alessandro Riccardi. Con questa dipinge sullo schermo un film le cui atmosfere e le pennellate con le quali prendono forma rappresentano senza ombra di dubbio il punto di forza. Il cineasta romano costruisce con la macchina da presa, le attese legate alla crescita della tensione e con la fotografia satura di Roberto Lucarelli un mash-up che soprattutto nella seconda parte offre alla platea di turno il suo lato migliore. Lì tanto la scrittura quanto la sua messa in quadro hanno una consistenza drammaturgica, narrativa e formale decisamente più elevate. Non a caso le soluzioni visive e il racconto si fanno in quei frangenti più efficaci e utili alla causa.
A differenza della messa in scena che si mantiene credibile dall’inizio alla fine, La voce del lupo ha al suo interno una frattura e dei tagli troppo netti nelle one lines (vedi i repentini e non fisiologici strappi e riavvicinamenti tra Nico e Alba), che al momento del turning point vengono in gran parte risanati e regolarizzati, ossia quando una volta superata la boa dei primi quaranta minuti i segreti e i non detti iniziano via via a salire a galla nella timeline, fornendo agli spettatori e ai personaggi chiamati in causa quelle risposte alle tante domande sollevate dalla linea mistery. Quest’ultima presenta fragilità strutturali e incertezze che scompaiono quando ci si decide finalmente a pigiare il piede sull’acceleratore e a sbrogliare la tela del giallo. Di fatto, la scrittura ci mette più del dovuto a carburare, ma quando ciò avviene a guadagnarne è l’intera filiera, a cominciare dalla regia per finire agli interpreti. Si assiste di riflesso ad una crescita esponenziale delle performance attoriali (su tutte quelle di Raniero Monaco Di Lapio e Marianna Di Martino, rispettivamente nei panni di Nico e di Alba, che si vanno ad aggiungere a quelle di nomi di richiamo come quelli di Christopher Lambert e Maria Grazia Cucinotta impegnati nei ruoli del Professor Moreau e di Eleonora) e registiche, con i confronti fisici e verbali (emotivamente molto intense come le scene dell’interrogatorio di Nico o l’animata discussione a tre che coinvolge Alba, Nico e Andrea), le dinamiche e la direzione che portano ad un innalzamento della temperatura sino al punto di ebollizione, con il racconto che si fa molto più teso e avvincente.
L’entrata definitiva nel bosco scoperchia il vaso di Pandora, risveglia echi del cinema di genere dei bei tempi che furono (a cominciare da un grande classico come The Wolf Man di George Waggner) e sprigiona tutta la potenza di fuoco di un progetto a nostro avviso coraggioso nel non tirarsi mai indietro quando c’è da ricorrere ai VFX e agli effetti di make up.

Francesco Del Grosso

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