Non tirate troppo la Korda
Quando ci si trova davanti a un film che porta la firma di Wes Anderson, il fortunato di turno sa esattamente a cosa andrà incontro, perché ogniqualvolta una sua opera approda sullo schermo la possibilità di assistere a qualcosa di coinvolgente e fuori dagli schemi diventa all’istante una certezza.
La trama fenicia (The Phoenician Scheme), in uscita nelle sale nostrane il 28 maggio con Universal Pictures dopo l’anteprima mondiale nel concorso della 78esima edizione del Festival di Cannes, non fa eccezione. Il dodicesimo lungometraggio (tredicesimo se si considera anche l’antologico The Wonderful Story of Henry Sugar and Three More) del regista texano presenta tutto quel campionario che negli anni è andato a forgiare e alimentare quello è diventato uno stile inconfondibile per quanto concerne l’eccentricità e la personale cifra stilistica. Tant’è vero che ormai l’aggettivo “andersoniano” è entrato nel gergo degli addetti ai lavori e non solo come sinonimo di un certo tipo di estetica. In tal senso questa nuova fatica dietro la macchina da presa segue in maniera pedissequa lo schema visivo dei precedenti lavori. Il ché lo rende sempre immancabilmente uguale a sé nella messa in quadro, nella geometrica e simmetrica costruzione lineare delle immagini (qui amplificata e sottolineata dalla scelta del 4:3, oltre che nella colorimetria della fotografia che esclude i bianchi squillanti e i neri profondi a favore di una confezione dalla paletta che mescola tonalità vivaci e pastello. Nel caso del cineasta di Houston però questa costante non ha mai rappresentato un limite, bensì un punto fermo, di forza e un elemento di assoluta riconoscibilità.
Ed è da questo punto fermo che Anderson riparte anche stavolta per dare spazio e libero sfogo ad altri suoi corsi e ricorsi autoriali, con e attraverso i quali ha disegnato una saga familiare avventurosa ed esotica, vestita per l’occasione da spy story sui generis, con quel pizzico abbondante di humour sopra le righe che rappresenta un altro marchio di fabbrica. L’autore, con la complicità in fase di scrittura di Roman Coppola, riavvolge le lancette sino agli anni Cinquanta per catapultarci al seguito di Anatole «Zsa-zsa» Korda, un magnate del settore armamenti sopravvissuto al sesto incidente aereo consecutivo, che si trova a dover affrontare un insieme di terroristi e politici che intendono sabotare un suo ambizioso progetto e al contempo derubare tutto il suo patrimonio. Ad aiutarlo in questa missione è l’unica figlia femmina di nome Liesl, che aveva abbandonato da piccola e che nel frattempo è diventata suora. Nonostante su carta possa sembrare una classica storia di spionaggio, in realtà La trama fenicia si concentra sul racconto di una famiglia disfunzionale e sul tentativo di un padre assente di ricucire i rapporti con la figlia. Il tutto viene narrato in maniera segmentata in una successione inarrestabile di battute e capitoli composti da bozzetti, appunti, citazioni, parentesi oniriche (esperienze pre-morte in bianco e nero) e piccoli frammenti simili ai tasselli di un mosaico che via via prende forma e sostanza drammaturgica. E ad aiutarlo nella finalizzazione c’è, oltre all’immancabile staff di storici collaboratori (tra cui Alexandre Desplat alle musiche), il solito nutrito parterre de rois di grandi interpreti che Anderson non ha mancato di chiamare a raccolta, nel quale a vecchie conoscenze (tra cui Bill Murray) si vanno ad aggiungere uno spassoso Benicio del Toro nei panni del protagonista una sorprendente Mia Threapleton in quelli di Liesl.
Francesco Del Grosso