Incontro con Wes Anderson
A Roma per presentare il suo ultimo gioiello Fantastic Mr. Fox, film d’animazione old fashioned completamente girato in stop-motion accantonando digitale e 3D con risultati assolutamente straordinari da un un punto di vista squisitamente tecnico, Wes Anderson è tornato all’Auditorium per incontrare il pubblico nell’ambito della pregevolissima rassegna “Viaggio nel cinema americano” curata da Mario Sesti e Antonio Monda. E la definizione di “viaggio” risulta quantomai appropriata per il cinema dell’autore texano, da sempre in perenne movimento verso nuove frontiere fisiche e spirituali del proprio cinema, come ben dimostrano i suoi ultimi lavori. Molte e svariate domande e tante risposte improntate ad una corenza registica davvero invidiabile, per un regista che ha sempre messo il cuore pulsante di un personalissimo umanesimo “esistenziale” al centro della sua idea intangibile di cinema.
Cercheremo di riportare in brevi paragrafi parte dei molti argomenti toccati nel corso dell’incontro, sperando di fare cosa gradita al lettore.
Wes Anderson e il cinema della sua generazione
Non ci potevano essere dubbi in proposito: Wes Anderson è un innamorato tout court della Settima Arte. Afferma di vedere un numero impressionante di film contemporanei; tuttavia non trova molte affinità cinematografiche con il gruppo di registi americani – tipo il suo omonimo Paul Thomas Anderson o Sofia Coppola – suoi coetanei. “Ognuno ha il suo tipo di cinema, il suo stile ed i propri modelli di riferimento” afferma Anderson. Che dice di trovarsi in perfetta sintonia soprattutto con gli amici con i quali ha lavorato nel corso della sua carriera, tipo Owen Wilson, Roman Coppola e Noah Baumbach, peraltro co-autore assieme allo stesso Anderson della sceneggiatura di Fantastic Mr. Fox.
La “famiglia”
Discorso immediatamente e logicamente conseguente è quello sul concetto di famiglia, sia sul set che nella diegesi dei suoi film. Famiglia come rifugio estremo dal dolore e dalla solitudine (I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou o Il treno per il Darjeeling) che attanaglia qualsiasi essere umano, ma anche come piacere del ritrovamento reciproco nel girare un nuovo film, con la medesima troupe e le stesse menti a monte di un progetto. La creazione di un’atmosfera così rilassata e feconda che funge da terreno fertile per la creazione artistica. A tal proposito Wes Anderson ricorda con piacere l’inserimento in un tale contesto di un “corpo estraneo” (per età e metodi di lavoro) come Gene Hackman nel già citato I Tenenbaum. “Lui ama lavorare in uno stato continuo di tensione, nutrendosi di essa per offrire il meglio di sè” ricorda Anderson. “Non è che fossimo terrorizzati da lui sul set: semplicemente ne avevamo un sacro timore…” dice sorridendo dopo aver confessato di avergli fatto la corte, per convincerlo ad accettare la parte, per più di un anno ed aver pensato a Michael Caine come possibile soluzione di riserva. “Però alla fine Hackman si è integrato benissimo nel nostro gruppo e per il mio compleanno, avendo notato che io spesso indossavo dei pantaloni un po’ sbrindellati, mi ha regalato un paio di bellissime bretelle…”. Quando si dice trovare un punto d’intesa.
Il viaggio
Cinema, appunto, come continua scoperta, in cammino interiore ed esteriore verso qualcosa di “altro” e “differente”. “Anche i luoghi contribuiscono a creare le storie dei miei film” ci confida Anderson. Il quale, per gli ultimi tre lavori (Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Il treno per il Darjeeling e Fantastic Mr. Fox, ndr) ha abbandonato la patria natale in favore, rispettivamente, di Italia, India ed Inghilterra. “Nel cinema è impossibile rimanere fermi. E poi questi paesi hanno esercitato su di me un fascino costante. L’Italia per ragioni artistiche, l’India per il fascino spirituale che trapelava sin dalla visione di The River di Jean Renoir” conclude Anderson.
L’America nel cinema
Secondo Anderson, in risposta alla domanda su chi riesca a raccontare meglio gli Stati Uniti al giorno d’oggi, sono ancora i registi del passato – dall’alto della loro lungimiranza – ad aver una visione nitida del paese in questione. “Alcuni film di Stanley Kubrick, di Orson Welles, di Martin Scorsese raccontano il mio paese attraverso immagini così dense di significato da risultare tuttora estremamente valide ed attuali”. Poi, non facendo nomi, ci dice “confidenzialmente” che anche qualcuno della sua o successiva generazione riesce a farlo con una certa efficacia.
Cousteau
“Jacques-Yves Cousteau è sempre stato il mio idolo sin da quando ero bambino. Seguivo attraverso la televisione i suoi documentari marini e ne rimanevo terribilmente affascinato. Lui era al tempo una vera e propria star del piccolo schermo” afferma Anderson. Il quale ne Le avventure acquatiche di Steve Zissou dichiara di aver ricalcato il personaggio del titolo – interpretato magnificamente da Bill Murray – proprio sulla sua proiezione immaginaria di come poteva essere un mito come Cousteau. Ha anche provato inutilmente a recuperare le sue attrezzature, barca compresa, per utilizzarle nel film ma erano in condizioni troppo precarie per l’usura del tempo. “Ho dedicato il film a Jacques Cousteau anche se nello stesso di lui fisicamente non c’è nulla”. Fortunatamente il cinema di Anderson va molte oltre la semplice superficie dell’acqua, alla ricerca di un’utopia che può anche presentarsi sotto le forme scintillanti di un fantasioso esemplare di “squalo-giaguaro”…
Controllo di un film ed eventuali sorprese
“Pensavo che girando un film di animazione in stop-motion avessi il pieno controllo registico sull’immagine, al riparo da qualsiasi sorpresa che può sempre presentarsi quando si lavora con attori umani o magari in esterni. Mi sbagliavo della grossa. E’ davvero incredibile quanto gli animatori riescano a mettere di improvvisazione artistica e puro genio nel loro lavoro” confessa candidamente l’autore di Houston, da sempre aperto a qualsivoglia “interferenza” che possa arricchire il suo cinema. Troppo pieno di solari aperture ad influenze esterne per poter solo pensare di risultare cinema pianificato a tavolino.
La volpe e l’uva
“Fantastic Mr. Fox – che ho tratto dal libro di uno degli scrittori che maggiormente hanno caratterizzato la mia crescita, ovvero Roald Dahl – in partenza doveva essere un film riservato ai bambini. Strada facendo è divenuto un progetto adatto anche ad un pubblico adulto. Magari alla fine non avrà propriamente un pubblico di riferimento…” chiude Anderson sorridendo.
Intanto, vedere per credere, è nata una nuova icona della sinistra mondiale. Ha il muso da volpe ed un’astuzia ed ironia senza pari. “Che” Guevara, fatti da parte: sta arrivando l’incontenibile e fantastico Mr. Fox!
Daniele De Angelis
Roma 2010