Figli dell’odio
Una bugia detta a fin di bene è pur sempre una bugia ed è su una di esse, tremenda e taciuta troppo a lungo, che prende forma e sostanza il plot al centro dell’opera prima di Giovanni Virgilio, nelle sale a partire dal 22 ottobre con le quindici copie messe a disposizione dalla ASAP Cinema Network. Anche se il giorno scelto per la distribuzione non è dei più felici, vista la concomitanza con le ultime battute della Festa di Roma e soprattutto l’abbondanza in termini di offerta per quanto concerne i titoli in uscita, si tratta comunque di una possibilità piccola, ma comunque dignitosa, che consente alla pellicola del regista siculo di affacciarsi nel circuito ufficiale, quanto basta per provare a portare all’attenzione del pubblico nostrano una storia di dolore e sofferenza che intreccia in maniera indissolubile i fili del tempo. Una storia purtroppo vera.
Con La bugia bianca, Virgilio affonda le mani nella Storia di un Paese, riavvolgendo le lancette sino al 1992, anno del sanguinoso conflitto nei Balcani, per poi ritornare subito all’oggi e alle ferite ancora aperte che quella guerra ha lasciato nelle e sulle persone che l’hanno vissuta sulla pelle, in particolare quelle migliaia di donne vittime degli stupri etnici che per vergogna hanno dovuto e voluto rimuovere dalla mente e dal cuore le tracce di quelle violenze subite. Ma certe cose non si dimenticano e prima o poi ritornano a galla bussando prepotentemente alla porta, non solo di coloro che ne sono state le sfortunate testimoni, ma anche sulle nuove generazioni che si sono trovate a portare addosso il peso di quelle atrocità. Il risultato è un faccia a faccia tra presente e passato, tra chi ha scelto di dimenticare e chi, al contrario, non ha nessuna intenzione di farlo, come le giovani protagoniste del film di Virgilio. Donne, queste, che sgretolano con forza e coraggio quel segreto che le ha tenute, chi in un modo e chi in un altro, schiave di un limbo fatto di verità taciute, di memorie rimosse e di parole non dette.
L’approccio a una materia drammaturgica delicata come questa è quello di un regista che affronta i fatti con i guanti e con la giusta misura. Scivola di tanto in tanto nella spettacolarizzazione del dolore indugiando sul materiale d’archivio, ma in generale mostra un rispetto quasi sacrale nei confronti della vicenda raccontata e dei personaggi che la animano. Interessante il punto di vista generazionale che offre alla platea una prospettiva diversa da quella che siamo stati abituati a vedere in questi anni, in particolare nei tanti documentari sul tema che hanno focalizzato l’attenzione solo ed esclusivamente sulle vittime degli stupri, dimenticando spesso i figli dell’odio generati da quelle violenze. In tal senso, non raggiunge le stesse vette toccate dall’intenso e toccante Il segreto di Esma di Jasmila Zbanic, Orso d’Oro nel 2006 alla Berlinale, ma quantomeno riesce a non sprofondare mai nelle sabbie mobili del pietismo a buon mercato come accaduto a Castellitto nella sua trasposizione cinematografica di Venuto al mondo. Da parte sua, Virgilio tiene un profilo basso, mira all’essenziale e non calca mai la mano.
Ciò non basta però a La bugia bianca per restare a galla sulla superficie della sufficienza. Sullo script pesa come un macigno l’incapacità di coloro che l’hanno firmato di andare veramente in profondità. Si ha sempre la sensazione di una brusca frenata quando, invece, si sarebbe dovuta cavalcare sino alla fine la scia delle emozioni. Quando questo accade è sempre troppo tardi e solo poche volte sfiora davvero le corde dello spettatore di turno (la confessione dei genitori a Veronika oppure il monologo Azra nell’aula dell’università). Il tutto vanifica in gran parte i buoni intenti del progetto, che vanno comunque riconosciuti, ma anche il coraggio dimostrato dai produttori e dal regista nell’aver voluto portare sul grande schermo un film simile, su un argomento simile.
Anche la componente tecnica, eccetto il contributo di buon livello offerto dalla fotografia di Alessandro La Fauci, non soddisfa, a cominciare dal lavoro dietro la macchina da presa di Virgilio che si limita a mettere in quadro il racconto appoggiandosi a una regia decisamente piatta e accademica, priva di spunti personali e di soluzioni visive degne di nota, capaci di rubare l’occhio del fruitore. Ci troviamo al cospetto di una successione di immagini scatologiche che incorniciano interpreti che provano a fare del loro meglio, ma non sempre ci riescono (il più continuo in tal senso appare Alessio Vassallo nel ruolo di Goran). Così come non soddisfa nemmeno la colonna sonora, tanto onnipresente da diventare spesso fonte di disturbo e di eccessiva enfatizzazione (a eccezione della splendida canzone di Erica Mou “La bugia bianca” che accompgan gli ultima passaggi del film).
Francesco Del Grosso