La vecchia guardia non molla
Sarà anche per il suo dna di agente segreto “old style” il quale opera con “scientifica” metodicità; certo è che Johnny English – cioè il secondo cavallo di battaglia dell’impagabile Rowan Atkinson, dopo ovviamente Mr. Bean – ritorna sul grande schermo solamente per la terza volta in quindici anni. Correva infatti il 2003 quando il personaggio si affacciò alla ribalta, parodiando in maniera esplicita le gesta di James Bond attraverso la celeberrima comicità all’insegna della goffaggine più assoluta del proprio protagonista. Un approccio perfettamente mantenuto anche in questo terzo capitolo delle (dis)avventure dell’agente segreto più scalcinato del Regno Unito, finito ad insegnare a ragazzini impenitenti tutti i trucchi di una professione da lui sistematicamente demistificata. Come scontato il nostro eroe tornerà presto in servizio su larga scala, richiamato d’urgenza dopo che una serie di attacchi informatici stanno creando il caos nell’amata Albione.
Un’esplicita chiave di lettura di questo chapter three potrebbe infatti essere l’opposizione tra il cosiddetto fattore umano – nel caso di Johnny English con tutte le non poche imperfezioni che tale prerogativa si porta dietro… – e un progresso tecnologico totalmente fuori controllo nonché alla mercé di giovani imprenditori privi di scrupoli. Il villain di turno, in Johnny English colpisce ancora, è non a caso incarnato da tale Jason Volta, tipico arrogantello statunitense da Silicon Valley consapevole di come sia sufficiente una nuova creazione informatica per tenere sotto ricatto il paese natale del nostro agente segreto preferito. Il quale, ovviamente, tra un pasticcio e l’altro riuscirà a risolvere a proprio vantaggio la situazione, non senza incappare in demenzialità assortite che lo metteranno in cattiva luce nei confronti dei superiori, tra cui un Primo Ministro donna interpretato con brillante ironia da Emma Thompson.
Anche con tali sottotesti in controluce, a fungere da ammonimento in linee generali anche verso un modello di cinema sempre più votato all’ingerenza della computer graphic, Johnny English colpisce ancora resta un divertissement senza troppe pretese che non siano quelle votate ad un sano divertimento a carattere un po’ infantile. Rowan Atkinson recupera infatti, come sua abitudine, una comicità atavica quasi da cinema muto, fatta di momenti slapstick ed un uso del corpo come catalizzatore di gags più o meno azzeccate. A contribuire nel condurre in porto un risultato comunque dignitoso da non sottovalutare affatto anche la magnetica presenza – nell’ambito di un cast forse complessivamente un filino meno glamour rispetto ai due film precedenti – di un’Olga Kurylenko iconica e ironica, irresistibile English-girl (a fare il verso alle celeberrime Bond-girl) nei succinti panni di spia russa doppiogiochista fino ad un certo punto. Esattamente quello in cui, come del resto inevitabile, non cede al fascino naif del nostro eroe in missione. Un giochino perfettamente assecondato dalla regia di servizio di tale David Kerr, mestierante televisivo in tutta evidenza cooptato al cinema allo scopo di rendere la terza missione di Johnny English quanto più possibile adatta a pubblici di qualsiasi palato.
Obiettivo divertimento allora centrato. Soprattutto a favore di quelle generazioni che hanno vissuto, o si sono infatuate in seguito, delle stagioni – ci riferiamo ai decenni sessanta e settanta – dorate del cinema di genere spionistico, nell’occasione sapientemente parodiato ad arte.
Daniele De Angelis