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Io, Arlecchino

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VOTO: 7

Giù la maschera

Tradizione non è contemplare le ceneri ma passare il fuoco
Gustav Mahler

Gran bella sorpresa, il film diretto a quattro mani da Matteo Bini e Giorgio Pasotti. Il secondo ha ormai raggiunto una discreta fama come attore, l’altro non è certo un nome noto ma da film-maker e montatore può vantare alcune qualificate esperienze, anche a livello internazionale. I due possiedono poi un comune denominatore, che in Io, Arlecchino ha la sua rilevanza: provengono entrambi dal Bergamasco. Sì, perché è tra gli scorci incantevoli di Bergamo Alta e le altrettanto suggestive incursioni in altri paesini del circondario che si snoda la parte più significativa del racconto.

Il lungometraggio di Bini e Pasotti si nutre infatti di una particolare tensione dialettica, che gioca abilmente su contrapposizioni come quella tra la metropoli e la provincia, tra l’eredità della Commedia dell’Arte e la volgarità dell’attuale programmazione televisiva, tra la ricerca del successo a tutti i costi e una passione sincera per la recitazione. Il protagonista, interpretato dallo stesso Giorgio Pasotti, è infatti un presentatore in rapida ascesa di nome Paolo, che anni prima aveva lasciato la zona d’origine sacrificando probabilmente una parte delle sue aspirazioni artistiche, pur di farsi strada in televisione. All’inizio del film si può dire che tali piani si stiano finalmente concretizzando. Già impegnato in programmi che è fin troppo facile definire “TV spazzatura”, il buon Paolo vede spalancarsi le porte di un successo ben più ampio grazie allo show di prima serata, propostogli dall’amico produttore Mauro, il cui atteggiamento cinico, indifferente e materialista è reso con apprezzabile istrionismo da Massimo Molea. Ma a scompaginare questo progetto assieme allo stile di vita un po’ fatuo adottato da Paolo sono le preoccupanti notizie da casa: suo padre Giovanni, vecchio attore innamorato della commedia dell’arte, ha seri problemi di salute e questo spinge il giovane a recarsi immediatamente da lui. Prima che la situazione si aggravi, il papà riuscirà anche a fargli scoprire quanto di bello e di genuino possa ancora annidarsi in una compagnia di teatro amatoriale, come quella che il vecchio si è impegnato a forgiare negli ultimi anni. Complice il feeling istintivo instauratosi con una ragazza del posto (Cristina a.k.a Valeria Bilello), il protagonista si troverà in bilico tra scelte difficili, fino a trovare la forza di rimettere in discussione tutto…

Ciò che in mani meno ispirate poteva diventare un apologo scontato, grazie alla buona vena di Pasotti e dei validissimi interpreti convocati per l’occasione produce, invece, una riflessione sull’oggi estremamente vivace, appassionata, finanche elegante in quella conduzione registica del racconto, che regala a sprazzi qualche felice intuizione. Considerando poi che il papà di Paolo, Arlecchino sofferente ma non ancora domo, è interpretato col connubio di sensibilità e classe immensa cui Roberto Herlitzka ci ha ormai abituato, è come se l’accorta scrittura del film volesse tracciare un simbolico passaggio del testimone; e questa ipotetica staffetta non riguarda soltanto i due personaggi principali, ossia il pur importantissimo rapporto padre/figlio, ma anche coloro che sono chiamati qui a interpretarli. Al tema della pietà filiale, approcciato tutto sommato con leggerezza, si sovrappone quindi quel cambio della guardia che vede un attore preparatissimo e dalle propensioni etiche fuori discussione, come Herlitzka, regalare una specie di investitura all’attore giovane e promettente che vorrebbe svincolarsi dagli standard televisivi, nella fattispecie Pasotti. Le scene in cui si omaggiano le maschere della commedia dell’arte, ricontestualizzata in un’amena cornice da strapaese, possiedono quella spigliatezza e quella leggiadria che il racconto richiede. Una pecca può essere, al contrario, il tono esageratamente caricaturale e quindi un po’ più prevedibile che la descrizione dell’ambiente televisivo assume; eppure, questo “controcampo” necessario ma non altrettanto ispirato riesce a far risaltare infine quel mondo dal sapore antico, un mondo ancora vitale, ruspante, di cui il personaggio interpretato da Pasotti al dunque si vorrà riappropriare. Così da avviare una personale palingenesi artistica e umana.

Stefano Coccia

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