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Intervista ai Licaoni e a Guglielmo Favilla

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Alla scoperta di Twinky Doo’s Magic World!

Parlare del rapporto che abbiamo con i Licaoni significherebbe compilare una pagina di Wikipedia, neanche delle più brevi. O forse di Nonciclopedia considerando il tenore così irriverente e surreale di certi nostri discorsi! Restringendo il tutto alla “fredda cronaca”, è più o meno dai tempi di corti come Last Blood (2003) che abbiamo preso confidenza con il vulcanico collettivo livornese, portato sin dalla sua formazione ad operare nei vasti territori del cinema di genere con spregiudicatezza, ironia, passione ed artigianale maestria. Bella sorpresa, quindi, imbattersi proprio al Ravenna Nightmare in Twinky Doo’s Magic World, lavoro breve ma da loro concepito quale potenziale “pilota” di un progetto più articolato e impegnativo. Del resto entrare a far parte del Concorso Cortometraggi di tale festival significa già ricevere un “bollino di qualità”, considerando l’ormai proverbiale diffidenza dei selezionatori ravennati nei confronti di certi altri prodotti italiani di genere, confezionati in modo decisamente più sciatto e a volte persino amatoriale. Tutt’altra storia, Twinky Doo’s Magic World. E ci ha fatto molto piacere poterne parlare direttamente a Ravenna con Guglielmo Favilla, tra i protagonisti del corto ed ospite in sala durante la presentazione: un attore, lui, che da tempo sta avendo anche una splendida “carriera solista”, ma che comunque alle attività dell’instancabile “factory” livornese ha partecipato sin dall’inizio. Contattando poi Francesca Detti ed Alessandro Izzo in quel di Livorno, abbiamo potuto aggiungere alla sua voce i latrati degli altri Licaoni. Ed ecco com’è nata questa intervista!

D: Allora, Twinky Doo’s Magic World: di questo vostro progetto, miei cari Licaoni, avevamo già parlato un po’ di tempo fa. Vogliamo riepilogare un po’ insieme come tutto è nato?
Licaoni: Si tratta di una storia per lungometraggio, un progetto di circa 10 anni fa che doveva essere il nostro quarto lungo dopo Mandorle, N.A.N.O. e Kiss me Lorena.
In un paio di occasioni siamo andati vicino a realizzarlo con vari interlocutori, ma per un motivo o per un altro la cosa si è sempre arenata e alla fine l’abbiamo riposto nel cassetto (anzi, nel baule).
Due anni fa ci è ricapitato in mano e ci è sembrato molto attuale e fresco, quindi dopo un bella riscrittura abbiamo cominciato a riproporlo in giro.
In più abbiamo pensato di rafforzare la proposta realizzando un teaser. O almeno questo era il progetto iniziale. In realtà ci siamo resi conto di avere tanto materiale già elaborato, quindi abbiamo optato per un cortometraggio.
L’idea era anche di provare a presentarlo ai festival, ma c’era il dubbio che fosse preponderante la natura di “pitch” e che quindi non avesse una sua dignità come storia a sé. Ci siamo dovuti ricredere perché il corto sta andando benissimo ai festival e ci sta regalando molte soddisfazioni (tra gli altri, Best Pilot al Web Fest di Berlino, Miglior Pitch Premio Sky Atlantic a Roma, Best Horror al Tokyo Genre Festival, Miglior Montaggio allo ShorTS International Film Festival di Trieste).

D: Nel corto di circa 11 minuti visto a Ravenna, in forma estremamente concentrata, vi sono suspense, satira nei confronti della civiltà dei consumi, elementi allucinatori. Presso quali comparti dell’immaginario avete pescato, stavolta? In quanto spettatore posso dire che si respira anche aria da eco-vengeance anni ’70 e ’80…
Licaoni: I temi che hai elencato sono esattamente quelli su cui si basa la storia del lungo e abbiamo cercato di concentrarli anche nel corto. Sono rimasti fuori, per motivi di budget, certi aspetti più action e orrorifici. I riferimenti sono quelli con cui siamo cresciuti, Carpenter e Romero, ma c’è dentro anche tanto King. Più che i riferimenti cinematografici, però, c’è tanta vita vissuta: nella storia c’è la voglia di raccontare la realtà da quartiere periferico in cui siamo cresciuti e uno sguardo critico a quello che sono stati per noi gli anni ’80. Per questo abbiamo fatto un grosso lavoro sul linguaggio. Volevamo raccontare qualcosa di nostro nel nostro dialetto. Il livornese – e il toscano in generale – viene sempre abbinato esclusivamente alla commedia, quando in realtà è una lingua asciutta, piena di spigolosità. Volevamo tirare fuori tutta la ruvidezza di cui è capace.

D: Per restare in tema, una domanda frivola, forse inopportuna: vi è successo in passato di intercettare qualche film su scoiattoli assassini? No, perché al sottoscritto è capitato anche questo.
Licaoni: “Scoiattoli assassini” è la nostra categoria preferita di film su Netflix. Purtroppo non c’è tutta ‘sta gran scelta. Ma se ci producono il film, ne avranno uno di alta qualità da metterci dentro.

D: Notevole è l’effetto del montaggio iniziale, che introduce alcune delle paranoie presenti nel film. Come avete lavorato, anche a livello di effetti, su questo segmento, che mi pare molto importante?
Licaoni: È una sequenza che abbiamo potuto aggiungere grazie al crowdfunding con cui abbiamo co-finanziato il corto. Uno degli stretch-goal era proprio una sequenza di titoli ad hoc (in cui sono stati inseriti i funders che avevano diritto ai crediti iniziali) e visto che c’eravamo, abbiamo cercato di usare la sequenza a fini narrativi, per raccontare l’universo di riferimento e introdurlo agli spettatori. La lavorazione l’ha gestita Alessandro in autonomia ispirandosi agli esperimenti di Datamoshing, un movimento di arte concettuale digitale che lavora sul deterioramento dei file e dei dati. Esteticamente e idealmente calzante col messaggio che volevamo passare.

D: Qualcosina invece sulle location, specie quelle più opprimenti, che si vedono in Twinky Doo’s Magic World?
Licaoni: È un magazzino ricostruito e arredato ad hoc grazie al prezioso lavoro di Blender Soluzioni Creative (un trio di artiste livornesi) e illuminato sapientemente dal DoP Marzio Mirabella con luci della Dedolight. C’è stato un grande lavoro di studio e allestimento proprio perché il magazzino, anche nel lungometraggio, è la location principale e cuore pulsante della storia. Quasi un personaggio a sé.

D: Come vi state muovendo, adesso, per dare un seguito a quanto realizzato finora?
Licaoni: Abbiamo vari interlocutori interessati, anche esteri, ma sostanzialmente stiamo cercando di capire con quale di essi possiamo trovare il giusto compromesso fra budget necessario e libertà creativa. Il problema è sempre il solito: con pochi soldi è difficile fare un prodotto di alta qualità, ma se te ne danno troppi, ti viene sottratto il controllo sull’opera. Cosa che vogliamo evitare.

D: Più in generale, come si è modificato secondo la vostra esperienza il panorama italiano a livello produttivo e distributivo, in questi ultimi anni, per chi approccia i generi cinematografici come fate voi?
Licaoni: Da un punto di vista di produzioni indipendenti è un buon momento: con la tecnologia a disposizione si possono fare ottimi prodotti e con un po’ d’intraprendenza ci si può affacciare sul mercato internazionale che offre molte opportunità.
Se invece parliamo del sistema produttivo italiano, non ci pare che si sia troppo modificato. Il cinema di genere continua a essere recepito o come una cosa troppo dispendiosa che in Italia non possiamo permetterci, o come una roba da ragazzini non meritevole di sostegno. Anche i casi di successo del cinema mainstream italiano non fanno testo: sono pochi e tutti legati all’intraprendenza personale o alla capacità di “nascondere” il genere dietro stilemi e tematiche ritenute più autorevoli dall’establishment. E comunque anche di fronte a questi successi lampanti, il sistema continua a restare arroccato. Il risultato è che non siamo un paese in grado di finanziare e sostenere prodotti di genere competitivi sul mercato internazionale. Siamo indietro anni luce rispetto al resto del mondo.

D: Per quanto riguarda specificamente te, Guglielmo, come ti sei trovato sul set di Twinky Doo’s Magic World? Tra i tuoi sodali abbiamo notato anche la presenza di Alex Lucchesi, compagno di avventura con cui hai lavorato diverse volte…
Guglielmo Favilla: E’ un progetto importante per me, una storia immaginata dieci anni fa insieme a Francesca e Alessandro che subito ci ha stimolato. Dopo tutto questo tempo ci siamo detti : è il momento, abbiamo l’età e l’esperienza necessaria per realizzarlo. Dopo la riscrittura recente arrivare a questo corto/teaser è stato galvanizzante. “Preparavo” questo personaggio da 10 anni. E lo tengo ancora dentro di me per quando realizzeremo il lungometraggio, spero il più presto possibile… Vedere il set allestito, la squadra al lavoro e tutto il processo di previsualizzazione per questo micro-film è stata un’incredibile emozione e un’enorme soddisfazione. I personaggi, le immagini, i colori e l’atmosfera che abbiamo pensato in tutto questo tempo che prendevano vita… Oltre a me, due dei personaggi della storia sono stati scritti su cari amici e colleghi: Maurizio Tesei, romano, già su set licaonici in Last Blood e Kiss Me Lorena, e appunto Alex Lucchesi. Alex è un grande amico e professionista. Ne abbiamo passate tante insieme fuori e dentro il set e su e giù dal palcoscenico e come con tutta la splendida banda che compone il set dei Licaoni ormai basta un cenno per capirsi e lavorare all’unisono. Inoltre, in quest’occasione per la prima volta con il cast abbiamo lavorato sull’accento d’origine: nel mio caso e in quello di Alex si tratta del livornese, però scevro da luoghi comuni ridanciani e goliardici. In questo, Alex ha trovato sorprendenti sfumature interpretative.

D: Puoi svelarci qualcosina in più sul background del tuo personaggio, nella comune speranza (e quindi senza “spoilerare” troppo) che questo piccolo, promettente lavoro si sviluppi ulteriormente?
Guglielmo Favilla: Selva è un uomo inasprito dalla vita. Un disadattato cresciuto alla periferia di Livorno con una famiglia distrutta e un rapporto violento col padre alcolizzato. Insieme a Pluto e Mara, che hanno vissuto come lui in un ambiente degradato, ha fatto branco e costruito una sorta di nuova famiglia: dalle palestre di periferia ai primi atti illegali il passo è stato breve. La rabbia repressa di Selva e la sua tensione costante che si notano nel corto sono solo un accenno di quello che il personaggio realmente cova nei confronti del brand “Twinky Doo”… ma tutto questo verrà rivelato meglio nel lungometraggio (si è capito che lo vogliamo fare?).

D: Per finire, visto che ci siamo incontrati al Nightmare, che ne pensi dell’accoglienza ravennate e della selezione di corti in cui è stato inserito il vostro lavoro?
Guglielmo Favilla: Tornare a Ravenna dopo 14 anni (la prima volta fu nel 2004 con Last Blood) è stata un’ esperienza emozionante… e aggiungerei inquietante proprio perché sono già passati 14 anni! Il festival è migliorato sotto molti aspetti e fa piacere vedere tanti giovani nell’organizzazione. La selezione di corti poi era di altissimo livello ed essere presente con l’unico prodotto italiano è stato un vero privilegio. Mi ha lusingato l’accoglienza così calorosa per il nostro lavoro, dopo aver constatato la confezione sopraffina e l’alto budget degli altri 9. E comunque io tifavo per il folle Who’s that on the back of the bus

Stefano Coccia

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