Parla la regista di “Neirud”, presentato a La Nueva Ola
Per la 18ma edizione de La Nueva Ola, Festival del cinema spagnolo e latinoamericano, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Fernanda Faya, regista del documentario Neirud (Brasile, 2023). Vincitore, peraltro, proprio nella categoria dei lungometraggi documentari, del prestigioso Premio IILA-Cinema, organizzato dall’IILA – Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana e rivolto a registi latinoamericani minori di 40 anni con l’obiettivo di supportare e valorizzare i nuovi talenti latinoamericani.
Il film racconta stralci di vita e la misteriosa morte di Neirud, lottatrice wrestler del circo come la circense nonna della regista, a cui era sentimentalmente legata. Attraverso un montaggio che intreccia materiale di repertorio e fiction, la Faya scorre a ritroso nel passato della propria famiglia, tradizionalmente cresciuta nel circo, indagando finanche nel mondo queer di quell’epoca, riportando alla luce memorie sepolte e donando coraggio alle comunità LGBT del presente.
D: Investigando su Neirud, ha rivissuto anche il passato circense della sua famiglia; quanto dell’anima nomade e circense le è stato tramandato?
Fernanda Faya: È sempre stato presente, nei racconti, nelle feste, perché il principale responsabile è mio padre. Mio padre ha tramandato questa memoria; e lui ha raccontato con molto amore, con solo amore, il venire da una famiglia circense e quindi è sempre stato un tema vivo e presente nella mia famiglia.
D: Sebbene non abbia trovato molte tracce del passato di sua zia, è riuscita a ritrarre un quadro chiaro della situazione in Brasile di quegli anni: la povertà che spinge una madre ad affidare i figli a un’altra famiglia per donare loro un futuro diverso, la donna relegata nella classica posizione “femminile” in un Paese in cui il wrestling al femminile è vietato, la necessità di celare le relazioni omosessuali. Cosa è cambiato oggi? E quanto la storia di sua nonna Nely è stato un punto fermo nel cambiamento?
Fernanda Faya: Secondo me non è molto cambiato in realtà, queste storie, soprattutto se puntiamo lo sguardo alle comunità periferiche, LGBT, la popolazione nera e quella povera. Però è altrettanto vero che hanno guadagnato più spazio nei media, sono più rappresentati nei film o nella tv e quindi in qualche modo questo ha trasformato un po’ la loro vita.
D: Nely, Rebecca, Neirud. Al di là del triangolo amoroso, costituiscono un esempio di donna coraggiosa e forte in un periodo buio, ma poco conosciuto; pensa che il suo film possa aiutare altre donne ad uscire allo scoperto, orgogliose del loro essere?
Fernanda Faya: Se il film avrà questo effetto io ne sarò davvero felice. Però penso che man mano che viene proiettato nei festival riceve una sorta di riscontro da quel pubblico che aveva una zia o un parente che ha vissuto la stessa condizione. Se permetterà a queste persone di vivere più liberamente, allora ho fatto il mio lavoro.
D: Il film è un mix di materiale d’archivio e ricordi personali; quanto è stato difficile montare il tutto per rendere l’opera omogenea e reale?
Fernanda Faya: Il film è stato davvero complicato; il montaggio è durato 5 anni, perché è stata una sorta di montaggio artigianale dove dovevamo comporre un immenso puzzle di diversi materiali di diversa natura e così è risultato molto faticoso.
D: A distanza di due anni dall’uscita del film, ha trovato altre tracce della vita di Neirud?
Fernanda Faya: Le tracce no, diciamo di no. Però è successa una cosa piuttosto diversa: oggi incontro diverse tracce di Neirud in tutte le persone che vedo vicine. Non tutte, ma la maggior parte delle persone, c’è una delle identità di Neirud nascosta in ognuno di noi.
D: Neirud era “la donna Gorilla”; nel wrestling i lottatori sono personaggi, la scelta del suo per Neirud è dovuto alla sua fisicità o ai pregiudizi dell’epoca?
Fernanda Faya: Nel film c’è un passaggio in cui mio padre racconta un po’ com’era la scelta di ogni persona, di ogni personaggio; che le donne che lottavano, facevano il wrestling, avevano un personaggio che faceva parte del loro spettacolo. È pure vero che questi personaggi erano costruiti in base a qualche stereotipo dell’epoca, cosa che ha aiutato e non queste donne, perché hanno saputo in qualche modo usare questi stereotipi e questi pregiudizi per mettere in luce la propria fisicità o personalità.
D: Qual è il suo rapporto personale con le donne del suo passato? Cosa le hanno lasciato?
Fernanda Faya: Il film mi ha trasformato molto. Oggi sento che ho una connessione molto profonda con queste donne del mio passato, perciò normalmente dico del film che io ho fatto il film, ma il film mi ha anche creato, perché mi sento un’altra donna oggi; sono fiera delle donne del mio passato e mi sento parte di loro, parte di questo universo LGBT, parte delle donne anticonformiste; e quindi, sì, fanno parte della mia vita oggi.
Michela Aloisi









