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In View

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VOTO: 8

Requiem per una donna dal cuore buono

Tra le proposte cinematografiche più forti della decima edizione dell’Irish Film Festa vi è stato senz’altro un lungometraggio, In View, capace di far breccia con tatto e incisività in un terreno difficile: quello della depressione, dei traumi non risolti, quei traumi che possono condurre direttamente al suicidio. Lungo il piano inclinato di una vita che degrada sempre più verso quell’abisso, da cui diventa poi arduo risalire, il regista Ciarán Creagh ha saputo collocare una vicenda umana dai contorni particolarmente cupi, dolenti, affrescata con uno stile tanto sensibile quanto conscio di quale fosse la forma cinematografica più idonea per un soggetto simile. E tale consapevolezza è emersa con decisione anche durante il Q&A con il pubblico della Casa del Cinema. Un incontro, quello festivaliero, cui hanno partecipato altri due ospiti di peso: la superba protagonista Caoilfhionn Dunne, i cui primi piani hanno letteralmente ipnotizzato i più coinvolti ed empatici tra gli spettatori; e con lei l’attore Gerard McSorley, qui in un piccolo ruolo, ma noto al grande pubblico per una lunga serie di successi internazionali. Meno note, semmai, certe vicende personali, decisamente tristi, che l’interprete ha voluto generosamente raccontare legandole al tema del film, in un intervento che ha lasciato tutti attoniti, senza fiato.

Ma torniamo ora a questo lungometraggio d’esordio incredibilmente maturo. La già menzionata Caoilfhionn Dunne vi interpreta Ruth, un’agente di polizia che qualche anno prima ha perso figlio e marito in un episodio le cui circostanze non vengono mai completamente chiarite, nel corso della narrazione, ma la cui tragicità di fondo è piuttosto facile da intuire; così come quel profondo senso di colpa, che ne è scaturito.
La vita di Ruth annaspa da tempo in un limbo, che le ha logorato il cuore e la mente. Il suo ruolo nella polizia è stato ridimensionato. Tra i colleghi vi sono quelli che cercano di aiutarla a risalire, a ricostruirsi un’identità, come anche quelli che mostrano una sprezzante indifferenza, se non addirittura ostilità e scherno. E il resto della cornice ambientale non è da meno: in particolare la famiglia di lui, del marito scomparso, si divide equamente tra chi mostra un minimo di comprensione e chi sembra provare sollievo solamente nel tormentarla, nell’infilare il dito nella piaga. Le uniche valvole di sfogo sembrano essere per Ruth la frequentazione di un gruppo di sostegno e una pericolosa tendenza ad alcolizzarsi, nei momenti difficili. Più si va avanti, però, più un disegno lucido e ineluttabile sembra prendere forma nella sua testa. Un’idea fissa cui lei si affida per esorcizzare il dolore acuto di certi ricordi. Ma è un pensiero che potrebbe tramutarsi ben presto in una decisione terribile, nella rinuncia definitiva a vivere…

Le precedenti esperienze di Ciarán Creagh come sceneggiatore (in particolare Parked, del 2011), ci avevano posto di fronte un autore portato a lavorare con il “non detto”, a sfumare volutamente le motivazioni di determinati gesti, ad agire sul ritratto delle psicologie individuali con una certa finezza. Questi spunti, ancora in fieri, hanno poi trovato nel calibratissimo script di In View e nella sua resa sullo schermo una perfetta concretizzazione. E non solo per la comprovata bravura degli interpreti testé citati. Ma anche per un approccio registico ispirato, soprattutto dal punto di vista delle relazioni spaziali tra i personaggi e l’ambiente. L’incisività dei primi piani è già un indizio in tal senso. Nel senso cioè della frammentazione interiore e spaziale. D’altro canto sono parecchie altre le scelte, da cui si ricava un costante senso di oppressione, di claustrofobia, di prigionia in una gabbia fisica e mentale da cui è complicatissimo evadere. Il cupo destino di Ruth si lega così con grande naturalezza a una partitura registica che in ogni singola inquadratura prova a ribadire un profondo disagio.

Stefano Coccia

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