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Il sogno di Omero

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VOTO: 7.5

Visioni

Il cinema polimorfico di Silvia Luzi e Luca Bellino, qui nelle vesti di produttori, avevamo già avuto modo di apprezzarlo con Il cratere, eppure sembra aver acquisito una fisionomia ancora più ardita e luciferina (nell’accezione, etimologicamente cristallina, di “portatrice di luce”) in questo ispirato lavoro di Emiliano Aiello, Il sogno di Omero, che riesce a suggerire forme anche laddove si potrebbe supporre una carenza, un vuoto. Ma forse il mondo delle immagini è talmente insito in noi, da non permettere neanche alla cecità di eclissarlo del tutto.
Che cosa sogna chi affronta la quotidianità senza poter vedere attraverso gli occhi? L’interrogativo apre scorci ancora più suggestivi, illuminanti, sconfinando tanto nel campo junghiano che in orizzonti di pura metafisica, allorché l’indagine si sofferma su soggetti ciechi dalla nascita. Il sogno di Omero si configura quindi quale immaginifico viaggio nei sogni di Rosa, Domenico, Gabriel, Daniela e Fabio, non vedenti dalla nascita le cui “avventure” notturne sono state opportunamente registrate e trasfigurate, all’interno di un insolito lavoro documentario che Emiliano Aiello ha portato avanti con costanza per parecchio tempo. Tutto ciò sulla scia di un esperimento avviato tempo fa dall’Università di Lisbona. Ed è soprattutto l’esperienza di Gabriel, anche in virtù di un sogno conclusivo atto a sfidare le più vertiginose intuizioni del surrealismo pittorico, ritratto omerico di un ritorno a casa tanto tangibile (lui stesso si è prestato a fornirne un’acuta e sorprendente testimonianza audiovisiva) quanto simbolico, il fil rouge di un’opera dotata a livello sensoriale di un impatto così conturbante.

Il film di Emiliano Aiello è stato proiettato il 18 luglio al Nuovo Cinema Aquila nel corso della rassegna Un affare di donne, promossa dal cinema stesso e dedicata al cinema indipendente italiano firmato o prodotto da cineaste, con particolare attenzione al documentario. Presenza forte al femminile, nel caso in questione, quella della produttrice Silvia Luzi, la quale durante l’incontro moderato con brio da Sergio Sozzo di Sentieri Selvaggi (incontro col pubblico durato, non a caso, quasi quanto il film, come a testimoniare le tante curiosità e prese di posizione sollecitate da una visione del genere) ha focalizzato i suoi interventi su alcuni aspetti collaterali distanti talvolta dal politically correct, compreso l’amaro prendere atto di un sostanziale disinteresse nei confronti della realizzazione e promozione del film, da parte di talune associazioni di non vedenti.
Peccato per questa infantile ed ipocrita “miopia” (volendo usare un eufemismo, dato il contesto), perché nel rifuggire pietismo e soluzioni troppo facili Il sogno di Omero rende un gran servizio alla causa, aprendo molteplici spazi di analisi (e di condivisione) per vedenti e non vedenti, regalando infine un’esperienza sensoriale in cui i giochi di messa a fuoco, la rapsodica ricognizione di location fortemente evocative, l’andamento onirico, la trasfigurazione stessa del vissuto dei protagonisti acquisiscono sullo schermo una liquida, immersiva e mai scontata carica mitopoietica.

Stefano Coccia

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