Cosa si fa quando lo scopo della propria vita cessa d’essere?
Si sente spesso dire che la vera felicità non consiste nel raggiungere il proprio obiettivo, quanto, piuttosto, nel percorso che si fa per raggiungerlo. Questo perché è l’avere uno scopo che ci permette di andare avanti. Una massima che può lasciare aperta qualche perplessità ma che in molti comunque seguono. Sembra, forse solo in parte, condividerla anche il giovane cineasta Enea Colombi con questo Il giorno dopo, suo cortometraggio d’esordio presentato in concorso al XXII Rome Indipendent Film Festival. Al centro della storia un vecchio pescatore senza nome (Claudio Madia) impegnato nella sua lunga lotta per catturare un grande mostro nel fiume Po. Dietro a questa caccia si cela un dolore personale. Il corto di Colombi pare riecheggiare diversi testi della letteratura che hanno al proprio centro il conflitto tra uomo e natura. Vengono subito alla mente “Moby Dick” e “Il vecchio e il mare”. Uno degli elementi dell’opera che risaltano con più forza, è il fatto che il regista si affidi principalmente alle immagini per raccontare la propria storia. Dei 17 minuti e rotti di durata totale i primi 8 sono privi di dialogo. In questa prima parte la colonna sonora della pellicola è composta esclusivamente da suoni e rumori della natura. Una scelta che aumenta l’importanza dell’ambiente nel quale viene girato il film. Di fatto, lo spettatore si trova immerso nello stesso ambiente del protagonista. Questa marca di confine tra terra e acqua che è il territorio sulle sponde del grande fiume. All’esperienza immersiva della visione contribuisce anche il largo uso di macchina a mano. L’autore pare avere studiato bene la lezione di Kubrick e Spielberg nel riprendere l’azione da vicino per trasmetterne tutta la forza e trascinarne nel mezzo lo spettatore. Tutti questi elementi contribuiscono a creare un’atmosfera calda e coinvolgente. Più ancora che la dimensione letteraria nel corso della visione ci sovviene la sensazione di assistere ad un racconto orale. Abbiamo la sensazione di trovarci di fronte ad una favola del folklore delle genti che abitano le rive del Po, in una dimensione astorica e, perciò, sempre attuale. Un risultato affascinante quello ottenuto da Enea Colombi e che mette in secondo piano quel tanto di scolastico che ci è parso di scorgere in alcuni passaggi dell’opera. Nel raccontarci questa storia del grande fiume il regista ci affabula sul concetto di avere uno scopo totalizzante nella vita e sul rischio di trovarsi svuotati quando questo viene poi a mancare. Intelligentemente si esime dal fornire una propria soluzione. Si limita a raccontare la storia così com’è e lascia, dunque, allo spettatore il compito di trovare la propria chiosa. Un compito forse non facile e che può a sua volta costituire lo scopo di una vita: indagare su come affrontare il giorno dopo l’avere compiuto la propria grande impresa e come poter vivere da quel momento in avanti.
Luca Bovio