Per il Far East un’apertura felice, quanto gli automobilisti davanti all’ “onda verde”
In quella che potremmo definire la “scena eponima” del film, si finisce in qualche modo per disquisire di fortuna, allorché alcuni personaggi in macchina spiegano a uno dei protagonisti cosa sia la cosiddetta “onda verde”, ovvero la situazione cara a molti automobilisti che vede spalancarsi una prateria di semafori verdi. Parimenti fortunata, felice, è stata per questo 27° Far East Film Festival la scelta di aprire ufficialmente il 24 aprile in serata proprio con questo lungometraggio cinese, Green Wave (Qian Chieng Si Jin, 2024) di Xu Lei: un’opera cinematografica magari meno appariscente, meno roboante di altre scelte in passato per l’apertura della kermesse friulana, ma che dietro la sua leggerezza di fondo nasconde un’ironia mordace e riflessioni non peregrine, sul confronto generazionale nel gigante asiatico per eccellenza.
Nel film di Xu Lei, che aveva esordito bene nel 2019 con Summer Detective, assistiamo infatti ai risvolti più sottili, sentiti, picareschi, finanche grotteschi di un rapporto padre-figlio che con tocco lieve pone in evidenza alcune tra le tante contraddizioni della Cina di oggi. Uno dei protagonisti è infatti Wei Fei, interpretato col piglio giusto da Wang Chuanjun, maschio di mezza età in crisi essendosi allontanato dalla famiglia d’origine nel tentativo d’aver successo a Pechino, ma senza essersi mai realmente integrato nella sempre più competitiva industria culturale del paese. L’altra faccia della medaglia è il padre Lao (Xu Chaoying), che dopo aver vissuto gran parte della sua vita in provincia ha visto demolire l’abitazione di famiglia (altro topos del cinema cinese contemporaneo, la demolizione di vecchie case e di interi quartieri) e ha deciso di trasferirsi temporaneamente dal figlio, nella capitale.
Entrambi i personaggi sono alle prese con episodi che potrebbero trasformare positivamente la loro esistenza. Una sceneggiatura di Wei Fei è stata finalmente adattata (molto liberamente, a dire il vero) per la realizzazione di un blockbuster, di prossima uscita, che oltre a portare la fantascienza della potenza continentale asiatica su sentieri pressoché inediti potrebbe sancire la svolta della sua carriera. Mentre il padre durante la demolizione della casa ha trovato praticamente integro un particolare esempio di vasellame che, dopo aver attirato la curiosità di tutti in paese, sembrerebbe essere (almeno secondo una misteriosa società di antiquari e sedicenti esperti di arte antica) pezzo rarissimo e di grande valore. Neanche a dirlo i sogni di entrambi, padre e figlio, andranno incontro a possibili disillusioni, osservate dal regista attraverso la lente di un umorismo beffardo, malinconico, acido e dalle venature a tratti un po’ surreali, vedi la memorabile sequenza con loro vestiti da animali allo zoo.
Xu Lei sa comunque dosare bene gli elementi e i toni del racconto, guardando a entrambi i personaggi con un mix di empatia e di strisciante ironia, quest’ultima ancor più evidente allorché la lente d’ingrandimento viene posta sulle truffe nel mondo dell’arte o su certe “cafonate” dello stesso ambiente cinematografaro. Non a caso alcune delle scene più esilaranti avvengono quando Wei Fei viene coinvolto, suo malgrado, nel flop dello scombinato kolossal robotico intitolato “Mecha del Fiume Giallo”, laddove le reazioni di pubblico, critici e addetti ai lavori sono da antologia. Al film si può rimproverare semmai un tirare per le lunghe la parte conclusiva generando tanti possibili finali, nessuno dei quali realmente incisivo. Ma nel mentre aveva comunque avuto modo di esprimere uno sguardo sulla società cinese di oggi alquanto divertito, spiazzante, tale da ricordarci a tratti quello che poteva avere Flaiano verso l’Italietta rampante del boom economico.
Stefano Coccia









