Vivere stipati
Ladj Ly è un regista che ha molto a cuore le sue radici, il destino e le problematiche della comunità dove è nato e cresciuto, quella delle banlieue. Lo ha più e più volte ribadito con il suo cinema nelle versioni sulla breve e sulla lunga distanza de I miserabili, per poi sottolinearlo nuovamente con il suo secondo lungometraggio, Gli indesiderabili, con il quale ha portato ancora una volta sul grande schermo l’esistenza e la sopravvivenza all’interno della periferia parigina. Il ché fa di questa, come delle opere precedenti, uno strumento in tutto e per tutto personale per parlare di sé e di argomentazioni dal peso specifico rilevante che si estendono su più ampia scala. Non è un caso infatti che il titolo originale della sua ultima fatica dietro la macchina da presa sia Bâtiment 5, in riferimento alla palazzina in cui lui stesso ha vissuto in gioventù.
Presentato in anteprima al Toronto International Film Festival 2023 e dall’11 luglio nelle sale nostrane con Lucky Red, il film è legato a doppio filo, per ambientazione, toni e tematiche sociali affrontate al suo passato e al suo lavoro da regista. Se ne I miserabili Ly metteva in scena il rapporto/scontro tra la periferia e la polizia, con Gli indesiderabili continua il discorso politico sul difficile rapporto delle comunità periferiche con le istituzioni, esplorando stavolta il tema dell’edilizia abitativa sociale, portando l’attenzione sugli sfratti imposti ai residenti dei quartieri popolari, vittime delle riqualificazioni urbane. Il tutto trova terreno fertile e spazio a sufficienza nelle pagine dello script firmato a quattro mani con Giordano Gederlini e nei 100 minuti messi a disposizione dalla timeline per una trasposizione che racconta una storia che si muove tra corruzione politica e tensioni latenti che sfociano nel conflitto. Il baricentro e la prospettiva, anche se si tratta di una vicenda corale, è rappresentato dalla figura di Haby, una donna che vive nell’edificio 5, un enorme palazzo della periferia parigina, stipato di cose e persone di ogni età e provenienza, e lavora per un’associazione che cerca di aiutare le famiglie in difficoltà e i nuovi migranti facendo da ponte con le istituzioni. I problemi sono tanti, la convivenza non è sempre facile, ma gli abitanti del palazzo hanno faticosamente costruito in quelle stanze la loro casa e la loro comunità. Alla morte improvvisa del sindaco, però, la carica viene trasferita su un uomo ingenuo e spaventato, Pierre Forges, un pediatra senza grande esperienza politica che intende riqualificare il quartiere a suo modo e risponde alle provocazioni con la repressione. La giovane Haby gli tiene testa, avviando una battaglia politica per evitare l’abbattimento dell’edificio 5, ma la tensione tra gli opposti fronti si alza fino a deflagare, la notte di Natale.
Non mancano quindi i momenti di forte tensione e sono proprio quelli, con emozioni cangianti annesse e diverso livello di intensità, a dare delle scosse telluriche e di assestamento alla fruizione. Scene come quelle dello sgombero dell’officina abusiva nel parcheggio e del rogo nel ristorante clandestino sono le scintille che innescano la suddetta deflagrazione. È sulla scia di questi picchi che si alza e si abbassa la tensione, con le performance attoriali (su tutte quella di Anta Diaw nei panni di Haby) che contribuiscono alla causa dando potenza ai dialoghi. Purtroppo però Gli indesiderabili soffre di una saturazione eccessiva dei contenuti, con l’autore che ha messo davvero troppa carne al fuoco, non riuscendo a focalizzarsi sugli aspetti più importanti della narrazione. La lotta politica, che dovrebbe essere il fulcro del racconto, è infatti descritta in maniera troppo didascalica e poco approfondita, tanto da provocare una perdita di realismo. Mancanza, questa, che per un’opera che ha ambizioni in tal senso rappresenta il vero tallone d’Achille. Cosa che invece non si è verificata né nel film da lui sceneggiato Athena di Romain Gavras tantomeno nel suo riuscito film d’esordio, capace di trasmettere con solidità e potenza il senso di rivolta sociale e di imminente esplosione delle periferie parigine.
Francesco Del Grosso