Athena e La rivolta urbana come Apocalisse
I figli dell’odio: così si potrebbe intitolare un ipotetico saggio su quell’ampia mole di film che – prendendo spunto da L’odio (1995) di Kassovitz – si sono concentrati sui problemi delle periferie, sulle rivolte popolari e la repressione della polizia, e sulla difficile convivenza fra le etnie. Un filone particolarmente fertile in Francia (I miserabili, Allons enfants, BAC Nord), dove la questione delle banlieue è più sentita, ma anche in Spagna (la serie-tv Antidisturbios), in Italia (ACAB), e persino in Danimarca (Enforcement), spesso coniugato con il crime-movie. Presentato in concorso a Venezia79 e poi distribuito su Netflix, Athena (2022) di Romain Gavras è la folgorazione dell’anno, probabilmente il film definitivo, il più compiuto e spettacolare di tutto questo filone, nonché un magnifico connubio fra action muscolare e acuta riflessione sui problemi della società odierna. Buon sangue non mente, vien da dire, poiché il regista è figlio del celebre Costa-Gavras, uno dei maestri del cinema d’impegno civile, unito a solide trame da thriller politico: e da lui, il Nostro eredita la denuncia sociale (in particolare contro le destre e la polizia), spettacolarizzando la vicenda come in un film d’azione. Romain Gavras viene dal mondo dei videoclip – un fenomeno multimediale da cui ha ereditato nel cinema varie cifre stilistiche, quali certe inquadrature e l’utilizzo delle musiche – e ha già diretto svariati corti, documentari e lungometraggi, ma è con Athena che conosce la consacrazione definitiva.
Scritto e sceneggiato dallo stesso Gavras insieme a Ladj Ly (regista del notevole I miserabili) e ad Elias Belkeddar, è ambientato ad Athena, un immaginario (ma non troppo) quartiere di Parigi. All’interno di una situazione già di per sé esplosiva, l’uccisione di un giovane magrebino da parte della polizia scatena una vasta e violenta rivolta, capeggiata da Karim (Sami Slimane), il fratello della vittima: dopo aver assaltato un commissariato di polizia, dove rubano varie armi, i rivoltosi mettono a ferro e fuoco il quartiere, armati di fucili, lanciarazzi, molotov, spranghe e fumogeni. Mentre il reparto antisommossa della polizia viene schierato per reprimere la rivolta, Abdel (Dali Benssalah), il fratello maggiore di Karim nonché soldato dell’esercito francese, cerca di fare da mediatore tra i violenti e le forze dell’ordine, ma con scarso successo. Anzi, dopo l’uccisione di Karim da parte degli agenti, sarà proprio Abdel a prendere in mano le fila della rivolta, minacciando di uccidere un giovane poliziotto preso in ostaggio, Jérôme (Anthony Bajon), se la polizia non rivelerà i responsabili del pestaggio che ha causato la morte del fratello più giovane: ma, stando a quanto si dice, sembra che gli assassini non siano poliziotti, bensì alcuni membri dell’estrema destra. Nel frattempo, seguendo l’esempio di Athena, tutta la Francia è teatro di violente rivolte.
Con un colto riferimento alla cultura greca, Athena è definito (così recita la locandina) “Une tragedie de Romain Gavras”, per cui il nome del quartiere non è casuale, quasi che il regista volesse rifarsi alle guerre dell’Antica Grecia e alle tragedie teatrali che ne cantavano le gloriose azioni. Ma, nel nostro film, di glorioso non c’è nulla: la rivolta degli abitanti, perlopiù immigrati magrebini, e la repressione del reparto antisommossa – cioè le due prospettive da cui sono narrati gli eventi, con una netta predominanza della prima – sono strettamente ancorate alla sporca realtà attuale, per quanto spettacolarizzate a fini narrativi. Siamo in guerra, sembra volerci dire Gavras, e non c’è niente di eroico, soltanto violenza, devastazione e uccisioni. I punti di partenza della storia narrata sono infatti temi strettamente attuali: la situazione esplosiva delle periferie (francesi e non solo), gli abusi di potere della polizia in Francia e in tutto il mondo, e la difficile convivenza fra le etnie.
Mentre le famiglie vengono sgomberate, i guerriglieri si impadroniscono del quartiere dichiarando guerra al mondo, per affermare con la violenza la loro esistenza e i loro diritti: siamo in una vera guerriglia urbana (quasi una guerra), ma c’è di più. Non è una semplice rivolta, bensì qualcosa che si estende a tutta la Francia, dalle rivolte degli immigrati in altri quartieri alle azioni violente dell’estrema destra contro gli stranieri: quella che si respira è un’atmosfera apocalittica, quasi distopica, ma terribilmente vicina alla realtà, resa visivamente dalle luci dei razzi e dal divampare delle fiamme esplose con le bombe molotov. In Athena non c’è una distinzione manichea fra buoni e cattivi (Gavras è abile nel non cadere in questa facile trappola), perché tutti sono protagonisti di questa spaventosa tragedia e di una violenza senza fine. Basti pensare al personaggio di Abdel (un intenso Dali Benssalah, visto in No Time to Die), che da mediatore si trasforma – dopo aver assistito all’omicidio del fratello – in un feroce leader della rivolta: prima uccide a pugni un altro suo fratello, trafficante di droga e armi in affari con agenti corrotti della BAC, poi è pronto a uccidere il poliziotto preso in ostaggio, in due scene grondanti rabbia e odio, fra i primi piani sul volto di Abdel e le sue urla. Karim è il giovane e incosciente capo dei guerriglieri, violento agitatore delle masse, disposto a uccidere il fratello Abdel se non gli consegna l’ostaggio. Jérôme è un giovane e terrorizzato agente che vive nel peggiore dei modi il suo battesimo del fuoco, con Anthony Bajon che ricopre un ruolo simile a quello del suo precedente Allons enfants. Di contorno, vediamo protagonisti più o meno importanti (Athena è un film molto corale, pieno di comparse) che si muovono in questo violento scenario, forse non del tutto consapevoli di quanto stanno facendo.
Athena è un film violento, senza compromessi, ricco di sequenze spettacolari, azione, coreografie sbalorditive degli scontri (la regia è matura e sicura di sé), fra l’uso di armi come lanciarazzi e molotov e cruente lotte corpo a corpo tra i rivoltosi e la polizia, con calci, pugni, manganellate e spray urticante, in un potentissimo crescendo di devastazione e violenza. I ribelli vogliono essere un vero esercito, così come il reparto antisommossa, e la prima apoteosi della tragedia vede protagonisti entrambi gli schieramenti, in quella che è forse la scena simbolo del film: la polizia schierata “a testuggine” – cioè con gli scudi ad ogni lato e sopra la testa a formare un corpo impenetrabile – e bersagliata dal lancio dei razzi da parte dei ribelli, quei razzi che illuminano la notte come una vera Apocalisse (fotografia e scenografie sono curatissime), enfatizzata dalla musica e dai vocalizzi che Gavras è particolarmente abile a utilizzare, venendo dal mondo dei videoclip. Così come apocalittico e per niente catartico è il finale, con l’esplosione che deflagra nella notte esasperando la violenza e al contempo quasi purificando quel girone infernale: ma è una conclusione strozzata, poiché il seguito viene lasciato aperto. La rivolta sarà finita così? O i superstiti prenderanno in mano i mitra che hanno rubato e scateneranno una guerra senza precedenti? La risposta non c’è, e il secondo finale mette invece in scena la verità sull’omicidio che ha scatenato tutto, una verità rabbiosa e beffarda.
Ma Athena è anche un raffinatissimo e poderoso esercizio di stile, mai gratuito, bensì finalizzato all’enfasi dello spettacolo che la regia mette in scena. Gavras, grazie anche a un reparto tecnico e produttivo con gli attributi, fa uso di una tecnica strepitosa, che vede in primis l’utilizzo del piano-sequenza, talvolta usato in antitesi a un montaggio sincopato. Un esempio folgorante lo vediamo all’inizio, quando la regia filma un piano-sequenza sbalorditivo di dieci minuti abbondanti: un piano-sequenza vero, non “truccato”, e che colpisce per la fluidità dei movimenti della macchina da presa. Grazie a tecniche di ripresa moderne ed incredibili, che permettono di realizzare qualcosa di difficilmente rintracciabile nel cinema contemporaneo, la telecamera segue Abdel con un carrello a ritroso, per poi spostarsi sul lancio della molotov da parte di Karim e allargarsi all’assalto contro la polizia, salire a bordo dell’ambulanza con cui i ribelli fuggono, spostarsi dall’interno all’esterno e giungere infine al punto più alto del quartiere di Athena – il tutto senza mai staccare un attimo l’inquadratura. Il piano-sequenza è poi reiterato più volte, anche se con tempi più brevi e modalità meno vistose, nel corso del film: un altro esempio mirabile è il primo schieramento del reparto antisommossa, e Gavras insiste anche coi carrelli in avanti o indietro, cioè a partire rispettivamente dalla nuca o dal volto dei protagonisti e proseguendo fino ad allargare la prospettiva. Ma lo stile di Athena è più ampio e ricco, facendo uso di ralenti (per esempio durante la carica della polizia), e accompagnando spesso le immagini con musiche potenti e vocalizzi poderosi, funzionali ad accrescere quell’atmosfera apocalittica che si respira dal primo all’ultimo minuto.
Davide Comotti