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Fuga da Reuma Park

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VOTO: 4.5

2016 Odissea nell’ospizio

Paradossalmente, nonostante l’esito così deludente e fiacco, si potrebbe persino provare a guardare con simpatia alla bislacca operazione cinematografica tentata da Aldo, Giovanni e Giacomo. Dopotutto non è cosa che verrebbe in mente proprio a chiunque: hanno praticamente messo in scena il proprio funerale artistico. E se ciò non può che dispiacere, a chi come noi ne aveva amato (pure parecchio) le primissime uscite sul grande schermo, il grado di follia e surrealtà riscontrabile in tale scelta può comunque strappare un sorriso sardonico. Difficilissimo, peraltro, non vedere Fuga da Reuma Park come una specie di epitaffio filmico. A creare tali premesse sono stati del resto direttamente loro. Un prologo picaresco mostra il nostro Aldo Baglio in viaggio dalla Sicilia a Milano, eccezionalmente scortato da un’accoppiata di angeli custodi che è tutta un programma: Ficarra & Picone, i due noti comici siculi, cui è stato chiesto per questa comparsata di impersonare la cinica prole di un Aldo invecchiato e, soprattutto, assai rincoglionito. Non a caso costoro, i figli, hanno pensato di liberarsene abbandonandolo a Reuma Park, un improbabile ospizio ricavato dalla struttura fatiscente di un luna park abbandonato! Ed è qui che Aldo si ricongiunge ben presto con Giovanni e Giacomo, anche loro alquanto malmessi e sfasati, al punto di non sapersi nemmeno riconoscere al primo incontro.

Ecco, se la componente visionaria e grottesca di tale location, scelta dal trio per ambientare un loro buffo incontro in età senile, fosse stata sfruttata a dovere, staremmo parlando probabilmente di un altro film. Ma purtroppo da una pur apprezzabile vocazione autoironica si scade quasi subito in una sorta di megalomania fuori controllo.
Smemorati, acciaccati, vessati da una infermiera giunonica e severa (tra le pochissime note positive dello scialbo lungometraggio, ancora una volta, la gigionesca verve di una Silvana Fallisi dal farsesco accento russo), i tre comici neanche si ricorderebbero del loro passato, tanto vicini sono all’Alzheimer, ma lo riscoprono di volta in volta attraverso filmati di repertorio proiettati nella struttura o tramite le citazioni inserite un po’ a casaccio in piccole gag auto-celebrative. L’intento in fondo sarebbe proprio quello: festeggiare col pubblico i 25 anni di risate che i tre uomini di spettacolo hanno saputo regalare, tra cinema, teatro e televisione. La nota tragica è invece che la curiosa operazione sfocia troppo presto in qualcosa di così sconnesso e imbalsamato, da configurarsi addirittura come un itinerario museale. Perché il vero dramma sta proprio lì. Con alcuni dei vecchi spezzoni e coi rispettivi personaggi, riesumati per l’occasione, si torna qualche volta a ridere, mentre le nuove gag sono a tratti così imbarazzanti, ripetitive e inefficaci da far rimpiangere gli animatori turistici di certi villaggi vacanze. E questo conferma quanto si era già percepito, malauguratamente, negli ultimi anni: tutta la freschezza e i tempi comici dall’impatto travolgente di Tre uomini e una gamba, Così e la vita e Chiedimi se sono felice sono ormai un ricordo lontanissimo. Da La leggenda di Al, John e Jack (2002) in poi il terzetto ha commesso l’errore di concentrarsi eccessivamente sulla cornice, su una più scintillante confezione cinematografica, senza rinnovare adeguatamente il repertorio e la propria vis comica. Così di autenticamente surreale è rimasta solamente la pretesa di ripresentarsi a Natale nei cinema, ogni tot anni, anche quando da mettere in scena non è rimasto altro che il proprio (quanto mai metaforico) ritiro in ospizio.

Stefano Coccia

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