La sfida delle sfide
Tra le tante proiezioni in programma, la seconda edizione di Filming Italy Sardegna Festival ha dato, a chi colpevolmente se lo fosse perso, l’occasione per recuperare il documentario vincitore dell’Oscar, Free Solo. Per la cronaca si tratta del film diretto da Jimmy Chin ed Elizabeth Chai Vasarhelyi che racconta le imprese dello spericolato free climber Alex Honnold, e in particolare la sua leggendaria scalata in solitaria e senza alcuna corda di assicurazione dei mille metri della parete del El Captain, la montagna situata nel Parco nazionale di Yosemite, avvenuta il 3 giugno del 2017.
Cominciamo con il dire che a chi soffre di vertigini o non ha particolare simpatie per le grandi altezze ne sconsigliamo caldamente la visione, ma così facendo rinuncerà a tre straordinarie possibilità: la fruizione di uno dei documentari tra quelli imperdibili dell’ultimo ventennio, il godimento per gli occhi di una serie di scenari naturalistici da mozzare il fiato e last but not least l’opportunità di assistere a come la tecnica di ripresa riesca a raggiungere i massimi livelli. E partiamo proprio da qui, ossia dall’hardware che ha permesso agli autori di firmare e filmare un’opera di incredibile potenza visiva, in grado di raggiungere vette altissime in termini di resa e di linguaggio. Chin e Vasarhelyi consegnano alla platea di turno un film che sfida, così come il protagonista del quale narra e mostra le gesta, qualsiasi legge di gravità e lo fa spingendo le riprese al limite conosciuto. La vicinanza al soggetto e il punto di vista dello stesso, restituiti attraverso pregevolissime riprese a mano realizzate sulle pareti scalate da Honnold, si mescolano senza soluzione di continuità a quelle automatizzate di uguale efficacia, con i droni che per una volta rappresentano un’ulteriore fonte di arricchimento della punteggiatura estetico-formale e non un surplus fine a se stesso. Qui il tutto si fonde alla perfezione per dare vita a un racconto per immagini che va di pari passo con la narrazione del reale al fine di completarla. Il risultato è una sequela che allo spettacolo della messa in quadro che offre dose massicce di adrenalina accompagna una funzionalità tecnica, come raramente si è visto sul grande schermo.
Quanto messo in evidenza è solo uno degli elementi di rilievo che fanno di Free Solo un’opera unica nel suo genere, meritevole per l’eccellenza raggiunta di essere vista e rivista più volte e non solamente dai cultori della materia e dagli addetti ai lavori, ma da un pubblico generalista e variegato. Il biopic classico dello sportivo di turno converge nel reportage naturalistico e viceversa, con un corpus che ci restituisce tanto l’interiorità e il pensiero del singolo quanto le dimensioni epiche della sua impresa su El Capitan. Nel mezzo l’immersione nella sfera privata con gli affetti e i legami sentimentali messi in discussione e a rischio così come la vita stessa mentre si è sospesi o appesi a una parete senza una corda a limitare il pericolo altissimo di morte. Ciò crea uno stato di tensione permanente che avvolge e caratterizza l’intera durata della timeline, dal primo all’ultimo fotogramma utile, che riporta la mente a La morte sospesa di Kevin Macdonald. La grande e sostanziale differenza sta però nel fatto che alla base della pellicola del collega britannico c’è una ricostruzione dei fatti mentre in Free Solo di ricostruito non vi è assolutamente nulla. Tutto è vero e in presa diretta, con una distrazione anche minima di Honnold che sarebbe potuta essere fatale.
Francesco Del Grosso