Alla ricerca dei consensi perduti
Il volto e la maschera. Essere e apparire. Il nostro lato pubblico e quello privato. E poi, ancora, l’intramontabile “Il Ritratto di Dorian Gray” del grande Oscar Wilde. Tutto questo è stato rivisitato “in chiave social” dal regista Mariano Lamberti nel suo Doriana, tratto dall’opera teatrale Doriana Grigio Vana di Roberta Calandra e presentato in anteprima nel corso della seconda sessione dell’Indiecinema Film Festival 2020. Quanto può influire su di noi l’immagine che trasmettiamo agli altri? E, soprattutto, quanto è facile perdere il controllo di sé stessi?
Doriana è un’affascinante donna di trentotto anni. Per anni si è dedicata anima e corpo alla sua azienda pubblicitaria, da poco fallita (probabilmente, come si può intuire dalle parole della donna, proprio a causa della pandemia). Quasi per caso, nei lunghi mesi di isolamento in casa sua, ha scoperto il mondo delle dirette sui social, fino a diventarne totalmente dipendente. I suoi follower sono sempre più numerosi. Un giorno, la donna riceve un misterioso regalo da uno sconosciuto: una sua foto gigante, in cui appare al massimo del suo fascino. La conoscenza virtuale del misterioso artista Salvo, tuttavia, farà scattare qualcosa in lei che le farà perdere il contatto con la realtà.
Doriana, dunque, è una sorta di Dorian Gray al femminile dei giorni nostri. L’amore ossessivo per la sua immagine finisce per sovrastare chiunque abbia modo di incrociare il suo cammino. Soprattutto il povero Salvo, alter ego della fragile Sybil Vane. E se la foto della protagonista, che, di volta in volta, mostra un viso sempre più solcato dai segni del tempo, diviene immediatamente l’immagine della sua stessa anima, in questo Doriana c’è dato da vedere il tracollo della protagonista stessa nel momento in cui la donna inizia ad alcolizzarsi davanti all’obiettivo del telefono e il numero dei suoi follower inizia a diminuire drasticamente.
Al fine di mettere in scena le vicende dell’affascinante Doriana, Mariano Lamberti ha optato per un approccio registico sì essenziale (come ci si aspetta, di fatto, nel momento in cui si assiste a delle dirette social), ma, al contempo, assai studiato e ricercato, che vede in atmosfere dark e in un montaggio sempre più frenetico e dai tagli netti i suoi maggiori punti di forza. Stesso discorso vale per la fotografia, inizialmente fredda, al pari della sua algida protagonista e dell’impeccabile arredamento del suo appartamento, ma poi dai toni sempre più cupi, virata ora al blu ora al rosso.
Ed ecco che, in poco più di quaranta minuti, viene messa in scena non solo una trasposizione del celebre romanzo di Wilde, ma anche – e soprattutto – una sua rilettura in chiave postmoderna, dai risvolti addirittura inaspettati e con anche un gradito tocco di ironia al proprio interno. Il tutto per un lavoro che si basa per intero sull’ottima performance di Caterina Gramaglia nel ruolo di Doriana. La sua straordinaria capacità di cambiare registro da una scena all’altra, senza paura di andare sopra le righe quando necessario riesce a far sì che lo spettatore resti incollato allo schermo dall’inizio alla fine.
Marina Pavido
Il film è disponibile per la visione sulla piattaforma IndieCinema