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Dolcezza Extrema

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VOTO: 6.5

Pupazzi scatenati

Inquadrato nell’ambito dell’asfittica cinematografia di genere – qualunque genere – italiana, un film come Dolcezza Extrema di Alberto Genovese meriterebbe soltanto elogi. Già l’idea di realizzare una sorta di space-opera sui generis con protagonisti pupazzi in stile Muppet (forse appena un po’ meno rifiniti…) è di quelle che volano alto in termini di fantasia; se a ciò si aggiunge il fatto che Genovese riesce nell’impresa di creare un mondo a sé stante utilizzando la fantascienza per sperimentare, provare ad intrattenere e fare satira con pochissimi mezzi economici (immaginiamo) e tanto lavoro, allora le riserve dovrebbero svanire come neve al sole. Purtroppo c’è un però, volgarmente chiamato con il nome di sceneggiatura. Perché Dolcezza Extrema, ammirevolmente realizzato da un punto di vista visivo, non riesce ad imbastire una storia degna di questo nome, generando alla lunga – il film è un vero e proprio lungometraggio della durata di ben ottantadue minuti – un senso di saturazione e noia.
La trama, non limpidissima a dire il vero, racconta di un pianeta in pericolo governato dal sovrano Grigorio XII (Marco Antonio Andolfi alias Eddy Endolf, unico attore in carne e ossa del contesto che peraltro appare solo in versione olografica), monarca dittatoriale che incarica l’equipaggio dell’astronave da cui il film prende il titolo della ricerca di una misteriosa droga capace di salvare i destini del loro mondo. Ma un ammutinamento interno nel nome della libertà mette in serio pericolo l’esito della missione.
Dopo pochi minuti di visione appare evidente come Genovese sia molto più interessato a dare un’animazione credibile ai suoi pupazzi, piuttosto che fornirli di un qualche spessore tridimensionale in senso lato. Dolcezza Extrema accumula sequenze da sit-com per adulti, senza però mai raggiungere quelle situazioni realmente “off” che probabilmente ne avrebbero fatto una sorta di cult movie di mezzanotte, mutuando il termine da una categoria di pellicole molto in voga negli Stati Uniti nei magici anni settanta. Non mancano sequenze allusivamente sessuali, i linguaggi dei vari personaggi sono a dir poco sboccati – del resto sono tutti “mostruosamente” diversi, vera e propria antitesi all’omologazione pretesa dal dittatore – e persino frecciatine alla storia politica italiana, segnatamente alla figura di Silvio Berlusconi con uno dei pupazzi che dichiara solennemente la propria discesa in campo con, sullo sfondo, la canzoncina di prammatica. Quello che risulta assente, in questo affresco comunque venato di sana follia e desiderio impellente di grottesco, è l’organicità d’insieme che caratterizzava, tanto per fare un esempio molto “alto”, un’operazione cinematografica assai simile come il Meet the Feebles (1989) di Peter Jackson.
Se Alberto Genovese riuscirà in futuro a curare un film in ogni suo comparto, sarà certamente un nome di cui sentiremo parlare. Nel frattempo possiamo senz’altro applaudirne senza riserve l’ingegno nella messa in scena e soprattutto il coraggio di aver dato alla luce un’opera fieramente controcorrente nella palude in cui ristagna anche il cinema “nascosto” italiano. Un’indipendenza, tanto a livello di produzione quanto, a maggior ragione, “ideologica” che dovrebbe essere solo ammirata e appunto elogiata, a prescindere da qualsiasi obiezione critica che, talvolta, si è quasi costretti controvoglia a rimarcare.

Daniele De Angelis

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