La voce del mare
Il mare ha una sua voce. Non è un discorso vanamente poetico, una qualche idealizzazione della natura. È proprio così. Per chi è nato e cresciuto sulle sue rive questo è più facile da capire, meno forse lo è per chi è originario di altri luoghi. Forse ogni luogo ha una propria voce, udibile per chi in quel luogo è nato e cresciuto. Ma probabilmente stiamo divagando. La voce del mare dicevamo; e il rapporto delle sue genti con esso. Si può imparare molto dal mare. È una grande scuola di vita. Il giovane regista pugliese Leonardo Dell’Olio sembra sapere bene tutto ciò. Tanto da farne il fulcro del suo ultimo lavoro, il cortometraggio Dentro il mare, selezionato al Festival del Cinema Europeo di Lecce 2020. Il rapporto con il mare, la sua voce, i suoi silenzi, la sua importanza come entità, come spazio, come confine, è di grande importanza nel film. Un discorso, quello del regista, forse più intimamente comprensibile dalle genti di mare. Un discorso solo in apparenza particolaristico, che ambisce a parlare di intimità, dell’animo umano, di temi assoluti; e tuttavia questo afflato non sempre è sostenuto a dovere dalla regia. E questa è la vera nota dolente della pellicola. La regia appare a tratti scolastica, c’è una visione certo, e la grammatica appare puramente cinematografica, ma è come se si avvertisse un dubbio, un ritrarsi della regia, come se avesse avuto paura di osare troppo nel sostenere il discorso all’interno del film e avesse quindi preferito fare meno, limitarsi al conosciuto ed al già sperimentato. Si ha anche la sensazione di un certo onirismo nel linguaggio del film, tuttavia non si può definirlo un onirismo felliniano. Siamo piuttosto dalle parti dello sperimentalismo di Michelangelo Antonioni. E forse lo sperimentalismo di Antonioni è la chiave giusta per comprendere il cortometraggio di Dell’Olio. Il regista di Ferrara aveva posto al centro della sua poetica temi grandi ed intimi come l’incomunicabilità, il disagio esistenziale, l’alienazione, cercando di svilupparli nel suoi film attraverso un linguaggio il più possibile legato alle immagini ed il meno possibile alla parola, intere sequenze de L’avventura (1960) e L’eclisse (1962) ne sono perfetto manifesto. Pellicole certo non facili, che richiedevano un importante sforzo di comprensione e partecipazione da parte dello spettatore, il quale, se si fosse fermato, invece, ad una pigra visione superficiale poco avrebbe compreso e goduto dei lavori di Antonioni.
Dell’Olio, con questo suo cortometraggio, pare intenzionato a battere la strada già tracciata dal maestro di Ferrara. Abbiamo già detto come la sua tecnica non sia ancora sopraffina, ma non è forse comprensibile in un autore alle prime prove? Vogliamo limitarci ad un arido dibattito sulla tecnica, o sforzarci di comprendere il lavoro di un giovane autore che, seppur attraverso qualche balbettio, dimostra una forte personalità ed idee non banali? A voi la scelta, ma ci sia permesso dire che la scelta di campo appare piuttosto facile.
Luca Bovio