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Dune Drifter

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VOTO: 7.5

Fantascienza fai da me!

In un’infinita battaglia per la salvezza dell’umanità, un gruppo di piloti di caccia stellari alle prime armi viene lanciato contro un’armata di invincibili navi nemiche. Una giovane pilota e la sua mitragliera vengono abbattute, ma riescono ad atterrare su un pianeta vicino. Dopo aver alloggiato la compagna ferita in una tenda di sopravvivenza, alla pilota non restano che due giorni di supporto vitale per riparare il caccia. L’improvviso avvistamento di una nave nemica la spinge alla ricerca di pezzi di ricambio, ma ben presto si accorge che c’è un altro, terribile, sopravvissuto: un soldato alieno che non ha alcuna intenzione di lasciarla fuggire.
A differenza di quello che si potrebbe pensare dopo la lettura di una sinossi come questa, dietro la quale verrebbe automatico ipotizzare la presenza di ingenti disponibilità economiche e di un numero elevato di forze lavoro impegnate nel corso delle varie fasi per fare in modo che il tutto prenda forma e sostanza audiovisiva sul grande schermo, la verità invece è ben altra. Chi conosce la filmografia di Marc Price, infatti, non farà fatica ad accettare che sulla sua ultima fatica dietro la macchina da presa sventola nuovamente e orgogliosamente la bandiera del cinema ultra-indipendente, quello che gli permise dodici anni fa di realizzare con un budget di sole 47 sterline (53 euro circa al cambio) un autentico cult come Colin, capace a suo modo di riscrivere e ribaltare alcuni codici del prolifico filone dello zombie-movie.
Con Dune Drifter, presentato in concorso alla 20esima edizione del Trieste Science + Fiction Festival, quella stessa bandiera è tornata a sventolare, piantata nella superficie di pixel della timeline di una pellicola di fantascienza che inevitabilmente rievoca e chiama in causa i grandi classici del genere come Star Wars e Star Trek, con tutto il loro immaginario al seguito, per poi prendere un’altra tangente e sposare un’estetica a bassa tecnologia per fare di necessità virtù. Questo perché il budget risicato a disposizione (circa 1200 $) e la produzione impostata in modalità low non permettevano di ricorrere a soluzioni e mezzi costosi e troppo sofisticati. Ciò non ha impedito però al cineasta britannico di sfornare un piccolo diamante grezzo e volutamente fuori bolla, concepito in primis per riempire la pancia degli appassionati della fantascienza old style e per intrattenere coloro che, come noi, di quel modo di affrontarla e concepirla si sono nutriti per decenni.
Motivo per cui, al netto di limiti nella confezione e di qualche carenza narrativa di tipo strutturale riscontrati, abbiamo particolarmente apprezzato un progetto che si misura con il genere in questione senza mettere mai le mani davanti, mescolando senza soluzione di continuità space-opera, azione e survivor-movie galattico. Allontaniamo pertanto ogni tentazione del vorrei ma non posso tipico dei blockbuster sci-fi e ultra high-tech di nuova generazione, per immergerci in un’odissea dal ritmo serrato che ricorda in parte Space Raiders di Howard R. Cohen. Nelle vene di Dune Drifiter scorre l’artigianato quello nobile e lo spirito follemente anarchico del cinema di Roger Corman, nello specifico de I magnifici sette nello spazio. È lì, da quel modello e modus operandi, che Price e la sua pellicola succhiano linfa vitale per costruire lo script prima e la sua trasposizione poi. Corman dunque ha indicato la strada da seguire e il suo collega l’ha imboccata senza esitazione, non facendosi mancare assolutamente nulla del campionario imprescindibile del cinema di fantascienza, ossia il mix di astronavi, battaglie galattiche, alieni e pianeti ostili. Una ricetta alla quale Price aggiunge anche dei corpo a corpo e delle sparatorie degni di nota per iniettare qualche dose di adrenalina negli occhi degli spettatori di turno.

Francesco Del Grosso

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