Il confine invisibile
Dopo essersi fatto le ossa sulla breve distanza dirigendo una serie di cortometraggi che hanno fatto incetta di premi nel circuito festivaliero internazionale, Lance Larson ha finalmente avuto la possibilità di misurarsi con un lungometraggio. Lo ha fatto firmando la regia di Deadland, un thriller dalle venature sovrannaturali che dopo la première mondiale in quel di Austin al SXSW 2023 è approdato in anteprima italiana ad Oltre lo specchio Film Festival, la kermesse milanese dedicata al cinema di genere che ha visto l’opera prima del regista statunitense di origini scandinave prendere parte al concorso della quinta edizione.
Siamo a El Paso, in Texas, al seguito di Angel Waters, un agente di polizia incaricato di vigilare la zona di frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti. Durante un normale controllo di routine si imbatte in un uomo che sta per annegare, riuscendo a salvarlo. Questo incontro lascerà un segno indelebile nella sua mente, risvegliando in lui ricordi da tempo sepolti.
In questa natura arida e brulla si consuma la storia di un uomo costretto a guardarsi dentro, a fare i conti con le proprie origini e con il proprio passato, un passato che riemerge in modo brusco e violento. Dopo aver inizialmente indossato le vesti tipiche del western, Deadland assume sempre più le sembianze di un thriller dell’animo, in cui i tormenti interiori del protagonista giocano un ruolo fondamentale. Tornenti che si materializzano con le sembianze di spiriti che tornano a bussare alla porta per riportare a galla verità taciute e insabbiate, oltre a risposte a domande rimaste troppo a lungo insolute. In questo modo la crisi d’identità del protagonista, qui interpretato da un più che convincente Roberto Urbina, rimanda metaforicamente all’anima identitaria degli Stati Uniti e alle tante etnie che popolano questa nazione, con la vicenda di un singolo che richiama la storia dell’America e al contempo a una delle facce del Paese.
Di riflesso si arriva a toccare con mano anche il tema dell’immigrazione clandestina e delle morti che quotidianamente si verificano al confine con il Messico, con migliaia di persone che ogni anno perdono la vita nel tentativo di oltrepassarlo. Il cinema ha affrontato in più occasioni la questione (da Mi Familia a La Niña, da Babel a El Norte, passando per Sin Nombre e Bordertown), affondando le proprie radici narrative nel dramma quanto nell’atto di denuncia. Ed è quello che trasversalmente prova a fare anche Larson, con la denuncia che scorre sotterranea per l’intera timeline alimentando un racconto che ha nella linea mistery il cuore pulsante e nella veste da western contemporaneo la cassa toracica. Ad alimentare il tutto delle sequenze oniriche dalle forti tinte horror che accompagnano la ricerca delle proprie origini da parte di Angel e il mistero che si cela dietro. Il regista, con l’aiuto in fase di scrittura di David Elliot e Jas Shelton, riesce a fare coesistere queste diverse anime senza che l’una fagociti mai l’altra, creando una commistione equilibrata di generi che si riversa sullo schermo sino a un epilogo che offre allo spettatore un efficace colpo di scena.
Francesco Del Grosso