Mistero gitano
Molto emozionante è stata l’apertura pomeridiana del 16° Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano, che ha avuto luogo domenica 5 novembre al Cinema Barberini di Roma. Lo si deve al Flamenco e alle così forti suggestioni legate al suo ritmo inconfondibile. Lo si deve alla cultura Gitana. E lo si deve soprattutto alla verve registica di Paloma Zapata, capace di costruire intorno a La Singla un eccezionale documentario musicale, una detection carica di mistero e un ritratto femminile dalle implicazioni esistenziali tutt’altro che vacue, banali.
Affidando poi sullo schermo l’investigazione a un’altra artista, la giovane attrice e cultrice della danza Helena Kaittani, un’ispirata Paloma Zapata ci conduce sulle tracce di Antonia Singla, bellezza gitana nata nelle baracche accanto alla spiaggia di una Barcellona dei primi anni ’50, che pare anch’essa ormai un ricordo lontano, sbiadito. Nonostante la sordità – e basterebbe forse questo a lasciare il pubblico a bocca aperta – costei riuscì nel miracolo di diventare una delle interpreti più genuine, personali e istintive del Flamenco, come testimoniano anche alcune importanti pellicole girate all’epoca.
Questo recente lungometraggio a lei dedicato, La Singla, comincia quasi a curvare verso il mistery, quale ulteriore chiave di lettura, allorché si affrontano le circostanze rimaste a lungo insolute che la portarono ad abbandonare le scene, quando era praticamente al culmine del successo. Qualcosa di clamoroso e difficile da spiegare, se si pensa che da ragazza Antonia aveva conosciuto e generato un profondo entusiasmo in personalità della cultura e dell’arte del calibro di Salvador Dalì, Jacques Cousteau, Marcel Duchamp. La documentarista iberica è stata intanto assai abile a ricostruire attraverso preziosi materiali d’archivio, alcuni dei quali pressoché inediti in quanto fortunosamente recuperati da un vecchio impresario, questa fase ascendente nella carriera breve ma folgorante della ballerina di Flamenco; ma l’impatto emotivo e sentimentale aumenta considerevolmente quando cominciano a chiarirsi le ragioni della sua improvvia sparizione e, soprattutto, quando si ha la conferma che Antonia, un tempo nota come “La Singla”, è in realtà ancora viva e ha saputo costruirsi negli anni una famiglia meravigliosa.
In particolare questa è una scoperta rinfrancante, se si considera che tra i motivi dell’abbandono dell’artista vi erano stati, come viene appurato durante il documentario, la presenza ingombrante di un padre opportunista e oppressivo, nonché la lunga fase depressiva dovuta alle sue continue interferenze nella vita privata e professionale della figlia. Con un unico spazio di libertà, vera e propria isola felice, che la ragazza aveva saputo infine ritagliarsi a livello artistico, prima di essere inghiottita dall’oblio: quel memorabile tour in Germania, nel corso del quale Antonia coronò almeno il sogno di sperimentare certe ardite contaminazioni tra Flamenco e musica Jazz a lei più congeniali.
Questi sono in fondo solo alcuni dei tasselli di una ricerca documentaria condotta dall’autrice esponendosi sempre in prima persona, ricerca da cui La Singla assume strada facendo i tratti di un’epifania miracolosa, seducente, ammaliante, ricca di pathos; e in ciò affine, volendo, a un altro splendido documentario spagnolo scoperto nei mesi scorsi e parimenti incentrato sulle vicende biografiche di un’artista dimenticata, ovvero La visita y un jardín secreto di Irene M. Borrego, meritatamente premiato all’interno della sezione Visti da vicino del Bergamo Film Meeting 2023.
Stefano Coccia