Io ballo con gli altri
Approda finalmente nelle sale il bellissimo documentario di Ivan Gergolet fattosi notare a Venezia, durante la Settimana Internazionale della Critica. Dancing with Maria è il ritratto appassionato di una persona fuori dal comune, che non solo ha reso la danza una delle proprie ragioni di vita, ma è riuscita anche a trasformarla in qualcosa di importante per gli altri; un qualcosa che stimoli maturazione interiore, (ri)scoperta di sé, confidenza con il proprio corpo, superamento delle inibizioni e del disagio legati a handicap, a traumi, a non conformità fisiche e psichiche di vario genere. Sì, perché uno dei temi esplorati nel corso del film è la cosiddetta “danzaterapia”. Ovvero una delle strade più belle, lodevoli, intraprese dalla celebre e affascinante Maria Fux, danzatrice argentina le cui origini famigliari vanno però rintracciate nell’Europa Orientale, che alla ragguardevole età di 90 anni riesce ancora a comunicare una sconcertante armonia, sia coi movimenti del proprio corpo che attraverso l’intensità dello sguardo, di un volto così spesso sorridente.
Il film di Ivan Gergolet ha inoltre il merito, perseguito con una riuscita commistione di eleganza e calore, di coniugare l’acceso ritratto della protagonista con le esperienze delle sue allieve. Il modo di ritrarre la danza nelle sue dinamiche sociali, oltre che artistiche, potrebbe persino ricordare il biopic dedicato da Wim Wenders a Pina Bausch, sebbene altre circostanze (l’improvvisa scomparsa dell’artista) abbiano contribuito lì a una diversa evoluzione del progetto cinematografico. Resta il fatto che Ivan Gergolet, in Dancing with Maria, pare aver raggiunto un ragguardevole livello di intimità con gli spazi della casa-studio di Buenos Aires, in cui Maria tiene i suoi corsi. Intimità con le persone e coi luoghi, quindi. Questo sguardo “orizzontale” sul presente di Maria Fux e delle sue allieve si alterna poi, in modo proficuo, con una ricerca retrospettiva fondata su estratti di quel materiale di repertorio, grazie al quale anche lo spettatore meno informato può familiarizzare con il passato dell’artista, passato di cui vengono fornite strada facendo le coordinate essenziali. Col suo lavoro il regista riesce perciò a trasmettere empatia senza rinunciare a una certa cura formale. Il che è espresso con forza dalle sorprendenti coreografie in strada della sequenza finale: una gran bella intuizione, anche sul piano prettamente visivo.
Stefano Coccia