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Maraviglioso Boccaccio

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VOTO: 5

L’amore al tempo della peste

Il Decameron è senza ombra di dubbio l’opera in prosa tra le più imitate, omaggiate e rielaborate, del panorama letterario italiano e internazionale. Di conseguenza, era inevitabile che diventasse fonte di ispirazione anche per esponenti più o meno noti della Settima Arte: da Bruno Corbucci (Boccaccio) ad Alberto Bevilacqua in trasferta cinematografica (Bosco d’amore), da Pier Paolo Pasolini (Il Decameron) a Hugo Fregonese (Notti del Decamerone), passando per la coppia formata da Armando Crispino e Luciano Lucignani (Le piacevoli notti), David Leland (Decameron Pie) e Woody Allen (To Rome With Love). Ultimi in ordine di tempo a rivolgere lo sguardo al capolavoro boccaccesco sono i fratelli Taviani, che tornano sul grande schermo con Maraviglioso Boccaccio dopo il successo ottenuto da Cesare deve morire, vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale 2012.
Il duo pisano prende in prestito cinque delle cento novelle raccolte nel Decameron, narrate a turno per da alcuni dei dieci giovani (sette donne e tre uomini) ritiratisi in una villa in campagna per sfuggire alla peste di Firenze del 1348, così da proseguire la loro personale ricerca alla riscoperta dei grandi testi della tradizione letteraria e dei rispettivi autori: Pirandello (Kaos e Tu ridi), Goethe (Le affinità elettive), Tolstoj (San Michele aveva un gallo e Il sole anche di notte) e lo stesso Boccaccio (uno degli episodi de I fuorilegge del matrimonio); ma anche di alcuni romanzi che si sono fatti notare negli ultimi quarant’anni come La masseria delle allodole e Padre padrone. Per farlo decidono di ricorrere alla struttura a episodi, la stessa che aveva caratterizzato l’architettura narrativa di Kaos, San Michele aveva un gallo, Sovversivi, Tu ridi e I fuorilegge del matrimonio.
La pellicola, nelle sale nostrane a partire dal 26 febbraio con le cento copie messe a disposizione dalla Teodora Film, consente ai due registi di tornare ad ambientare un altro script in quel della Toscana dopo Le affinità elettive (trasferita l’azione dalla Germania a S. Miniato e Poggio a Caiano), Il prato, Fiorile e La notte di San Lorenzo, ma anche di confrontarsi  nuovamente con importanti pagine di Storia, come avvenuto con altri film in costume che hanno catapultato lo spettatore in era napoleonica (ne Le affinità elettive l’azione è spostata cronologicamente in avanti rispetto all’originale), nel periodo della restaurazione (Allónsanfan), in pieno Settecento (uno dei tre episodi di Fiorile e Il sole anche di notte, in questo caso retrodatando il racconto “Padre Sergio” di Tolstoj dall’Ottocento russo proprio al Settecento del Sud Italia), in tardo Ottocento (San Michele aveva un gallo), nell’agosto del 1944 (La notte di San Lorenzo) e persino sullo sfondo di un’epoca arcaica (Sotto il segno dello scorpione).
In tal senso, proprio sulla base di quanto detto, Maraviglioso Boccaccio va perfettamente a incastonarsi all’interno di una filmografia che ha nella continuità dei temi e degli stilemi un elemento di riconoscibilità e coerenza, che delinea i tratti di una poetica autoriale ben precisa. Una poetica, questa, dalla quale però Paolo e Vittorio sono riusciti solo di rado a distaccarsi quel tanto che bastava per mostrare alla platea una faccia diversa del loro modo di fare cinema, quella piacevolmente emersa in Cesare deve morire. Un elemento di distacco sta, però, nel piacere di raccontare una o più storie in modi semplici, senza l’assillo di una sovrastruttura ideologica, come successo invece in Sotto il segno dello scorpione. Ma quanto ci manca il potere devastante di opere del calibro di Padre padrone? Si assiste quindi a un ritorno al passato, con la penultima fatica dietro la macchina da presa che nella produzione dei Taviani appare come una sorta di parentesi in un copus di opere compatto e solido, nel quale hanno trovato spazio autentiche perle e pochi passi falsi. Tra questi segni di cedimento ci sentiamo di inserire la nuova pellicola, decisamente discontinua sul versante drammaturgico, con i due episodi grotteschi che, pur funzionando, non compensano la debolezza dei restanti tre di natura drammatica.
Filo conduttore l’amore nelle sue diverse sfumature che, mescolato ad altri sentimenti universali come l’amicizia, la paura e l’odio, non è sufficiente a dare la giusta consistenza al racconto nel suo insieme, quest’ultimo animato da tre pulsioni intorno alle quali i due fratelli costruiscono il baricentro dello script, ossia la peste, i giovani e la fantasia. I Taviani si rifanno ai sentimenti attuali, facendo propri quelli impressi nelle pagine firmate da Boccaccio, trovando nei dieci narratori protagonisti il riflesso degli stati d’animo dei giovani di oggi, nella peste il motivo della fuga dell’epoca che diventa metafora di quella che avviene in questi ultimi anni (ancora una fuga dall’orrore dopo La notte di San Lorenzo, Sotto il segno dello scorpione e Cesare deve morire) e nella fantasia l’unica scialuppa di salvataggio capace di dare ancora un barlume di speranza. Il guppo di uomini e donne scappano da Firenze dove a causa della peste viene meno il concetto di comunità e in quell’eremo sperduto nella campagna toscana, dove vanno a rifuggiarsi, lo ricompongono per preservarlo e farlo sopravvivere lontano dalla minaccia.
Nonostante i nobili intenti drammaturgici, a Maraviglioso Boccaccio, alla pari de Le affinità elettive, si rimprovera di essere un adattamento illustrativo senza una vera e palpitante ragione d’essere, persino qua e là banale, come non era mai successo in un film dei Taviani, fatta eccezione de Il prato. Tolti pochi momenti di grazia, presenti unicamente nei due episodi grotteschi, il risultato è un film atteggiato più che ispirato, di una bellezza figurativa che sfiora l’accademismo quando si palesa il giottesco richiamo pittorico nella composizione delle inquadrature, nella messa in scena e nella fotografia. Ciò che rimane sono le belle location che fanno da cornice, alcune convincenti interpretazioni (Paola Cortellesi, Lello Arena e Kim Rossi Stuart) che si fanno largo a fatica nel ricco cast a disposizione e la colonna sonora avvolgente firmata da Giuliano Taviani e Carmelo Travia.

Francesco Del Grosso   

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