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Dachra

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VOTO: 7

La verità sta nel bosco

Ed ecco il film che proprio non ti aspetti e per di più transitato in quel del Lido negli ultimi vagiti della 75esima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica. A regalarcelo è stata la Settimana Internazionale della Critica che lo ha scelto come evento speciale di chiusura della sua 33esima edizione. Stiamo parlando di Dachra, che oltre ad essere l’opera prima di Abdelhamid Bouchnak, ad oggi rappresenta il primo horror nella storia della cinematografia magrebina, da anni impegnata a raccontare con drammi e commedie il prima, il durante e soprattutto il post Rivoluzione. Di fatto, la Primavera Araba ha letteralmente monopolizzato l’attenzione di gran parte degli autori dell’area geografica in questione, con il cinema di genere in particolare rilegato in una posizione di secondo piano. Di conseguenza, al di là dei meriti e dei demeriti riscontrabili sullo schermo, fa notizia e piacere che qualcuno, a maggior ragione se un esordiente sulla lunga distanza, abbia deciso di misurarsi finalmente con il filone orrorifico. E se questi sono i risultati, allora speriamo che quello del cineasta tunisino classe 1984 non sia un caso isolato firmato da un cane sciolto.
C’è da dire che al momento dell’annuncio della line-up della S.I.C., la scelta di selezionare – anche se fuori concorso – e di chiudere con Dachra ci è sembrata un vero e proprio azzardo. Ma per fortuna la visione della pellicola di Bouchnak ha estirpato qualsiasi dubbio in merito. In tal senso, nonostante la curiosità fosse tanta e le aspettativi invece piuttosto basse, il risultato è stato invece più che soddisfacente. La pellicola, infatti, al netto della fruizione si è rivelata una piacevole sorpresa. Qualche fragilità e forzatura sul piano narrativo disseminate qua e là ne fanno un film imperfetto, ma con tante piccole qualità che ne sollevano le sorti. Il mea culpa è, dunque, d’obbligo nei confronti di una pellicola inquietante e ricca di colpi di scena (soprattutto nel finale) che esplora la stregoneria nel mondo islamico. Vittime designate e immolate sull’altare del plot sono Yasmin, studentessa di giornalismo tunisina, e due suoi compagni di corso che decidono di occuparsi del caso irrisolto di Mongia, una donna ritrovata mutilata 25 anni prima, ora rinchiusa in un manicomio e sospettata di stregoneria. Nel corso delle indagini, i tre amici arrivano nell’arcaico e inquietante villaggio di Dachra, isolato nella campagna fra capre, donne silenziose, misteriosi pezzi di carne lasciati essiccare e pentole fumanti. Il capo villaggio, gioviale ma minaccioso, li invita a restare per la notte, ma quando Yasmin comincia a scoprire i segreti di Dachra, capirà di dover fuggire prima che sia troppo tardi…
Cinematograficamente parlando, quando si parla di horror e di stregoneria la mente non può non andare di default ai due estremi: da una parte la celebre trilogia argentoniana e dall’altra quel The Blair Witch Project da molti considerato come il capostipite del found footage e del mockumentary in modalità P.O.V. Per il suo Dachra, Bouchnak non si avvale della soggettiva della macchina da presa come nel caso del film di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez, ma ne prendono in prestito tanto altro. Quello del regista tunisino è prima di tutto uno shocker vecchio stampo che qualche salto sulla poltrona riesce a fartelo fare grazie a una manciata di sequenze ben costruite dal punto di vista dell’implosione sullo schermo della tensione. La linea mistery funziona a dovere e svolge il compito ad essa assegnato, ossia quello di traghettare lo spettatore di turno sino all’epilogo. Nel mezzo della timeline si inserisce poi a gamba tesa anche la componente splatter per arricchire il menù. Quanto basta per saziare il palato degli amanti della macelleria a buon mercato ma di qualità, con regia e sound effect che contribuiscono – e non poco – alla causa.

Francesco Del Grosso

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