Utopie rivoluzionarie
«Nel 2004, non molti anni dopo l’attacco delle Torri Gemelle, si sono affacciate in me delle domande, tra cui questa: com’è possibile che il nostro Paese, dove si è svolta una guerra di indipendenza per la liberazione dallo straniero, non abbia un sotto? Ci sarà stata una parte “sporca”, non solo grandi battaglie e diplomazie.», rispondeva così Mario Martone alla domanda sulla trilogia durante la Masterclass al Bif&st2018. Ecco, quel sotto emerge coerentemente anche in Capri-Revolution, ultimo suo lavoro presentato in Concorso alla 75esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e dal 13 dicembre in sala con 01 Distribution.
L’incipit è molto poetico, è come se si andasse al di là del muro leopardiano, continuando a viaggiare non solo con l’immaginazione, ma anche fisicamente, ritrovandoci così a Capri.
«Quest’isola compare e scompare continuamente alla vista
e sempre diverso è il profilo che ciascuno ne coglie.
In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine
e che ci attende sempre, ma solo per sfuggirci di nuovo».
La scelta di porre queste parole della scrittrice Fabrizia Ramondino (un incontro importante nel percorso del cineasta napoletano, è stata pure sceneggiatrice di Morte di un matematico napoletano e gli suggerì la lettura de “L’amore molesto” della Ferrante) è emblematica di ciò che il Cinema di lì a poco ci offrirà. La macchina da presa inquadra da più prospettive l’isola, quasi a suggerirci che tanti saranno gli aspetti da scoprire. Siamo nel 1914 e l’Italia sta per entrare in guerra. Conosciamo in primis Lucia (una Marianna Fontana che buca lo schermo) mentre accudisce il padre allettato. Lei dà il suo contributo portando al pascolo le capre e aiutando in casa e d’altro canto i fratelli Antonio e Vincenzo (rispettivamente i bravi Gianluca Di Gennaro ed Eduardo Scarpetta) cercano di sopperire il più possibile all’impossibilità del capo famiglia di lavorare. La madre (Donatella Finocchiaro) si esprime poco, eppure intuisce la natura e lo slancio della figlia più di altri.
Durante una solita giornata, Lucia osserva dei ragazzi nudi sulla scogliera e ne è incuriosita. Si tratta della comune di giovani nordeuropei (creata dal pittore Karl Diefenbach, nda), che ha trovato «sull’isola di Capri il luogo ideale per la propria ricerca nella vita e nell’arte» (dalla sinossi).
La platea di turno partecipa all’incontro tra la comune guidata da Seybu (Reinout Scholten van Aschat), la ragazza e il giovane medico del paese (interpretato da Antonio Folletto, ottimo nel rappresentare le “ragioni” della scienza).
In Capri-Revolution emergono senz’altro le propulsioni utopistiche, però ci permettiamo di affermare che un’onestà di ideale rivoluzionario arriva, in particolare, dal personaggio di Lucia e meno (come si potrebbe pensare) dalla comune – in cui, forse, si sarebbe dovuto scavare maggiormente. Lo stesso dottore ha una solidità e una coerenza narrativa sviluppate con più cura.
Il film è stato insignito del Premio Pasinetti 2018 «perché» – si legge nella motivazione «con sorprendente attualità riesce a parlare del passato indagando sulle contraddizioni e sui grandi temi del presente. La ‘Rivoluzione caprese’ di Mario Martone conferma il talento e lo stile unico di un autore importante e la sua capacità unica di raccontare, attraverso una Storia che riesce, come sempre nelle sue mani, ad appassionare anche i più giovani, i cambiamenti del mondo e della società».
Con rammarico constatiamo che Capri-Revolution ha una potenza drammaturgica meno forte rispetto agli altri due lavori della trilogia (Noi credevamo e Il giovane favoloso), ciò non toglie l’onestà intellettuale che continua a contraddistinguere il cinema di Martone, senza dimenticare l’impatto visivo e suggestivo. Ci fa piacere rendere merito a tutto il cast, oltre i già citati: Jenna Thiam, Ludovico Girardello, Lola Klamroth, Maximilian Dirr e tanti altri giovani artisti che hanno dato vita pure alle coreografie curate da Raffaella Giordano.
«Le scelte compiute in anni lontanissimi dalla comune di Capri, come da quella di Monte Verità in Svizzera, parlano direttamente al nostro tempo, in cui la questione di che senso dare al progresso e al rapporto tra uomo e natura è centrale per la sopravvivenza stessa degli esseri umani», ha dichiarato il regista e questo è senza dubbio uno spunto da (ac)cogliere e su cui interrogarci.
Maria Lucia Tangorra