La (Grande) Mela marcia
Per la chiusura della sezione “Panorama Internazionale” e della quarta edizione di Visioni dal Mondo la presidenza e la direzione artistica della kermesse meneghina hanno scelto di comune accordo di affidarsi a Crime + Punishment, già vincitore dello Special Jury Price – Social Impact al Sundance Film Festival e del Grand Jury Price all’Indipendent Film Festival di Boston, che è stato presentato al festival in anteprima italiana prima dell’uscita nostrana con Camera Distribuzioni Internazionali.
Il documentario percorre le linee guida del filone investigativo che rivela la pratica delle “quote minime di arresti” imposte ai poliziotti del Dipartimento di New York e di cui le minoranze etniche della città sono le principali vittime. Trattasi di uno sguardo sulle vite e le lotte di dodici coraggiosi poliziotti, prevalentemente latinoamericani e afroamericani, che rischiano tutto, la loro carriera e la loro sicurezza, per denunciare le azioni scorrette e di discriminazione razziale prescritte dal loro Dipartimento. “I 12”, così vengono etichettati, oltre ad intentare una class action, si rifiutano di arrestare sotto falsa accusa i propri concittadini per raggiungere le quote richieste dai loro superiori e ottenere una valutazione positiva delle proprie prestazioni lavorative. Saranno presi di mira, isolati e umiliati dai propri compagni di lavoro, rimanendo però moralmente impegnati nella lotta contro questa pratica discriminatoria. A firmare questo scottante spaccato della società contemporanea americana, prodotto dalla vincitrice premio Oscar Laura Poitras, è il regista Steve Maing, alle prese con il dipartimento di polizia della Grande Mela, la stessa città che ogni anno attrae milioni di turisti e che in qualche modo rappresenta un bastione liberal dell’America di oggi.
Il risultato è un’indagine senza precedenti, di oltre quattro anni, sul più potente e grande dipartimento di polizia degli Stati Uniti e del mondo, con 36.000 agenti all’attivo. L’opera in questione rispecchia a pieno la tendenza attuale del cinema documentaristico a stelle e strisce (e non solo), dove i contenuti e il linguaggio vanno di pari passo con una confezione fortemente cinematografica. Lo dimostrano l’approccio stilistico alla materia da parte dell’autore, l’estetica votata alla spettacolarizzazione, la qualità innegabile delle immagini, la varietà delle soluzioni visive proposte e il mix riuscito di hardware a disposizione della messa in quadro, con droni, steadycam, go-pro e persino microcamere e radiomicrofoni nascosti ovunque (orologi e penne stilografiche). Un vero e proprio arsenale cinematografico che ha consentito a Maing di realizzare un’opera che non ha nulla da invidiare a quelle di fiction di tutte le latitudini e che è a tutti gli effetti una spy-story ad alto voltaggio old style. Un filone, questo, che l’autore, pur seguendo altre traiettorie in passato, ha già percorso con profitto con i pluripremiati High Tech, Low Life e The Surrender.
La molteplicità di apparati filmici gli ha consentito di dare a Crime + Punishment una veste accattivante, appetibile e adattabile tanto al piccolo quanto al grande schermo, riversata in una di timeline dilatata e dai ritmi forse un po’ troppo blandi di 111’, quest’ultimi necessari però a coprire l’arco temporale degli eventi (dal 2014 al 2017) e per palleggiare da un dipartimento all’altro di New York, per le strade, le case e il penitenziario. Maing pedina, raccoglie testimonianze delle vittime, partecipa a processi e conferenze stampa, ascolta intercettazioni, si apposta osservando da lontano per assicurarsi e scovare delle prove schiaccianti sulle nefandezze, ma soprattutto segue e assiste i cosiddetti “dissidenti” lungo il difficile percorso di denuncia. Davvero un gran bel da fare, meritevole di un plauso per il coraggio e la pazienza dimostrati per portare a termine un film dal peso specifico e dalla portata dei contenuti non indifferenti.
Francesco Del Grosso