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Confessions of a Runner

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VOTO: 7.5

La mia più grande sfida

Nel 2016 faceva la sua comparsa sugli schermi Free To Run, un pregevole documentario nel quale Pierre Morath raccontava la storia di un’attività, la corsa, che è diventata sinonimo di libertà, di uguaglianza tra i sessi e di emancipazione femminile. Quello firmato dal cineasta svizzero però è solo uno dei prodotti audiovisivi a mostrare come la corsa a vari livelli, agonistica e non, si possa trasformare in un qualcosa di più grande, capace di cambiare la vita alle persone dando loro una nuova spinta o delle motivazioni per farlo. C’è chi come Billy Mills, un runner e un indiano d’America, che cerca di superare gli stereotipi nel tentativo di conquistare la medaglia d’oro alle Olimpiadi in Running Brave. Chi come il Dennis di Run Fatboy Run decide di correre una maratona per riconquistarle la ex per dimostrarle di essere in grado di fare progetti e portarli a termine. Oppure chi come Guor Maker in Runner lo fa per sfuggire da un passato di guerra e carestia vissuto in Sudan, chi come Dave Mackey in Il leader o la Amelia Boone di 15 Hours hanno continuato a farlo per andare oltre i limiti imposti da gravi infortuni. E poi c’è chi come Patrick Vaughan, un trail runner affermato, piccolo imprenditore, genitore e sopravvissuto a gravi menomazioni fisiche, che condivide la sua storia di guarigione e redenzione mentre insegue il record di completamento dei 470 km del Lebanon Mountain Trail. Una storia che è diventata il soggetto di un documentario breve dal titolo Confessions of a Runner, presentato nella sezione “Alp&Ism” della  69esima edizione del Trento Film Festival.
A portarla sullo schermo ci ha pensato Bachar Khattar, regista e direttore della fotografia libanese con la passione per i trail run, che dopo un incontro con il protagonista ha deciso di filmare l’impresa sportiva del corridore statunitense e con l’occasione ripercorrere km dopo km i suoi dolorosi trascorsi. Da qui il titolo di un’opera che nei 20 minuti circa a sua disposizione intreccia il presente storico di riscatto di un uomo attraverso una durissima competizione con il passato travagliato che lo aveva portato a perdere tutto, compresi gli affetti e la salute. Il risultato è una vera e propria confessione alla macchina da presa, al pubblico e in primis a se stesso, nella quale Vaughan con un mea culpa si mette a nudo ripercorrendo con la memoria la lenta uscita dal tunnel dove anni prima era entrato a causa di una malattia e un post-operazione che lo aveva portato alla dipendenza da antidolorifici prima e da eroina poi. Un cammino di autodistruzione che ha causato tutta una serie di problematiche psicologiche, fisiche e familiari, interrotte con la disintossicazione e la corsa.
Per lui la corsa ha avuto dunque un effetto terapeutico che lo ha aiutato ad affrontare due o tre cose che non andavano nella sua vita. Confessions of a Runner è la testimonianza di come questa “cura” abbia avuto effetto, mostrandoci quello che l’uomo e l’atleta sono riusciti a compiere in una fetta di vita e in soli sette giorni. Tanti ce ne sono voluti al runner newyorchese per portare a termine la gara e infrangere il record. Era il giugno del 2017 quando Vaughan è volato a Beirut per affrontare la durissima Lebanon Mountain Trail con l’obiettivo di registrare il tempo più basso di sempre. Per la cronaca trattasi di un aspro percorso su un dislivello positivo di 21.000 metri da nord a sud, dalla Siria fino al confine israeliano, tra valli, distese rocciose, boschi, promontori, tratti cittadini, giorno e notte, sole a picco, pioggia, vento e nebbia, che richiede un enorme sforzo fisico e mentale per portarlo a termine.
Una sfida gigantesca, questa, che il regista documenta correndo fianco a fianco con il protagonista o avvalendosi di raffinate riprese aeree con droni che sottolineano costantemente la bellezza selvaggia dei luoghi e il grado di difficoltà richiesto per attraversarli. E la mente torna a documentari come La maratona di Barkley, Finding Traction, I runner del deserto e soprattutto a Karl Meltzer: Made to be Broken. In tutti questi casi l’esperienza sportiva si mescola con quella umana, correndo a braccetto per l’intera durata della timeline, come avviene in Confessions of a Runner, un’opera da fruire in apnea sino agli ultimi centimetri dopo il traguardo.

Francesco Del Grosso

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