Alla luce del sole
Dopo una lunga ed entusiasmante cavalcata nel circuito festivaliero internazionale, il pubblico nostrano ha avuto finalmente la possibilità di recuperare il delicato ed intimo documentario del giovane filmmaker Alden Peters, dal titolo Coming Out. L’occasione è stata la presentazione alla 30esima edizione del Festival Mix Milano, dove la pluri-premiata opera del regista statunitense è stata selezionata nel concorso dedicato al “cinema del reale”. Neologismo, quest’ultimo, che nel caso del film in questione calza davvero a pennello. Si perché quello diretto da Peters è un documentario che mantiene sempre le radici ben piantate nella realtà, nonostante si percepisca di tanto in tanto qualche flebile manipolazione della realtà stessa, che non altera però in nessun momento la veridicità di quanto mostrato e narrato, tantomeno la spontaneità di coloro che appaiono sullo schermo. Accade spesso, infatti, soprattutto nelle docu-fiction, che ci si trovi a fare i conti con autentiche (ri)costruzioni a tavolino, che finiscono con il tramutare le situazioni in artefatti e le persone che le vivono in veri e propri personaggi. Per fortuna Coming Out e il suo autore, con il carico di eventi mostrati e delle figure che lo popolano sullo schermo al seguito, riescono a tenersi sempre ben distanti dalle sabbie mobili.
Peters “scrive” in presa diretta un video-diario fatto di frame che consegnano alla platea di turno un ventaglio sterminato di emozioni. Ma attenzione, si tratta di un mix senza soluzione di continuità di emozioni che, al contrario di quanto si potrebbe immaginare visto il e i temi al centro dell’opera, non si tinge solamente dei colori del dramma e della sofferenza. Il grande merito del regista americano e del suo documentario sta proprio nella capacità di entrambi di esplorare il suddetto ventaglio, offrendo al fruitore anche l’opportunità di sorridere e divertirsi; dimostrazione che con uno humour intelligente e una bella dose di rispetto si possono toccare e affrontare argomenti seri, scottanti e importanti, senza sminuirne la portata o offendere qualcuno. In tal senso, torna alla mente lo straordinario documentario TransFatty Lives di Patrick O’Brien (premio del pubblico al Milano Film Festival 2015), dove era il regista stesso a raccontare tutte le fasi della malattia che lo aveva colpito (la SLA) a cominciare dal momento della drammatica scoperta. Lo stesso modus operandi, approccio e scelta, sul quale ha deciso di puntare anche il connazionale Peters per portare sullo schermo la sua storia che, come avrete intuito già dal titolo, parla di altro. A creare un ponte tra le due opere, dunque, non è il tema, ma il punto di vista e lo stile con i quali prende forma e sostanza l’architettura drammaturgica e visiva.
Come O’Brien, anche Peters si mette a nudo, scegliendo di essere lui stesso il protagonista. Ciò rende la missione cinematografica e il coinvolgimento più complessa e difficile, ma entrambi i registi riescono a oltrepassare i numerosi ostacoli presenti lungo il cammino, a cominciare dal protagonismo per finire con la speculazione del dolore proprio e altrui. Da parte sua, Peters ha racchiuso tutti i momenti del suo viaggio verso l’essere completamente e pubblicamente se stesso. La telecamera ha immortalato ogni istante di tutto quello che è successo, nell’attimo in cui ogni cosa accadeva, incluse le reazioni di amici e parenti. Ne viene fuori una sorta di reality, ma nel senso buono del termine, reso possibile da una moltitudine di occhi digitali che assemblati con ritmo e sapienza finiscono con il generare un appassionante auto-ritratto pieno zeppo di momenti riusciti e divertenti. Questo innovativo modo di raccontare un momento fondamentale nella vita di un giovane ragazzo gay, ci pone nel vivo del racconto di Alden, facendoci vivere tutte le emozioni che lui stesso e i suoi cari hanno provato. Dai momenti imbarazzanti a quelli più divertenti. Coming Out ci consente di capire l’importanza del vivere la propria vita alla luce del sole e ci trasporta in un posto in cui ogni cosa appare comprensibile, come l’accettarsi e l’essere accettati dalla comunità.
Francesco Del Grosso