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“Closed Box” e “Poolside”

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Due belle scoperte

Il Festival Indiecinema, si propone con una nuova sessione, ricca infornata di un’accurata selezione di interessanti opere.
Tra questi sono presenti numerosi cortometraggi, nuovi o già reduci da altre tappe nel circuito festivaliero internazionale. Due titoli catturano l’attenzione per via di alcuni elementi che li accomunano, pur essendo diversi per tematiche e ispirazione.
Partiamo dal primo, Closed Box, il cui sottotitolo italiano, per la verità, contiene una sfumatura diversa: “A scatola chiusa”. Un uomo (Gianfranco Boattini, che è anche uno dei registi) vive tra casa e lavoro, senza nessuna sorpresa, senza alcuna minima variazione per quella che diventa una routine quotidiana la quale, pur apparendo confortevole e serena, nasconde le ombre di una sorta di pulsione angosciante.
Il quotidiano, come accade a troppi di noi, tende a ripetersi all’infinito, nelle movenze, nelle parole, nelle situazioni. Una volta che l’uomo rientra nella sua abitazione, la moglie (Francesca Fantini) è sempre ad attenderlo sul divano con le due figlie, tutte e tre perfette, tutte e tre quasi degli automi, degli ingranaggi di un meccanismo che scorre costante e invariato. Una casa pulitissima, una donna sempre in ordine, senza mai un capello fuori posto, bambine fin troppo educate e silenziose. Da questa spirale si fugge solo arrivati al punto di rottura, con una soluzione estrema. No, non è una storia di un omicidio, di una tragedia familiare, l’evasione architettata dal protagonista è più mentale e, da un certo punto di vista, più eroica.
Completamente girato a Forlì, questo cortometraggio di Riccardo Salvetti e del già citato Gianfranco Boattini è ispirato ad un tragico e, al tempo stesso, grottesco episodio di cronaca accaduto a Monza nell’ormai lontano 2004. Del fatto reale che è alla base del film non parliamo, per non rovinare un punto importante della trama, ma la sensazione di estraniazione, di incubo ad occhi aperti, è stato sapientemente riportato sullo schermo. Importante notare come ogni giorno, la famiglia dell’uomo si comporti in modo assolutamente identico a quello prima, sia nei più piccoli dettagli delle pose che nei discorsi a tavola. Cambiano solo i colori degli abiti (bellissimi) a sottolineare quanto la differenza tra una giornata e l’altra sia solo puramente cosmetica, una illusione. Non è un caso che per indicare una vita apparentemente solare, senza problemi, ma in realtà minata da profonde inquietudini, sia stata scelta un’atmosfera, una scenografia e uno stile pienamente ispirato agli anni ‘50. La loro patina colorata, fatta di sorrisi, cene di beneficenza, case immacolate e giardini curati è lo sfondo perfetto per rappresentare un’esistenza fatta di convenzioni e ipocrisia. Rinchiusi in questo mondo, l’unica reale scappatoia sono i sogni e, forse, un’altra prigione che sia quantomeno costruita da noi, con le nostre mani, dove decidere finalmente cosa immaginare e cosa ascoltare. Senza tornare indietro.
I numerosi premi collezionati dal 2012 ad oggi, certificano l’assoluta originalità di questo corto che, a dieci anni di distanza, continua ad essere proposto e a sorprendere.
La stessa ambientazione degli anni ‘50 e la stessa sensazione di angoscia quotidiana le ritroviamo in Poolside, che è invece una novità. Qui ci viene raccontata la storia di Meg (Anne Beyer), che nel suo elegante villino, al cui interno si trova una bella piscina coperta, trascorre lunghe giornate nell’attesa vana del ritorno di suo marito. A farle compagnia c’è unicamente il suo diario e le molte pasticche contro ansia e depressione che la aiutano a sopportare il trascorrere lento delle ore. Durante le sue nuotate, in modo sempre più frequente, inizia a sentire misteriose voci, echi che scompaiono all’improvviso per poi farsi risentire dagli angoli vuoti della grande casa. E’ un’inquietante crescendo, mentre la donna delle pulizie decide di non tornare più a causa di strani episodi e anche il telefono diventa inutile per comunicare. Ogni giorno sembra peggiore del precedente: “quanto si può restare soli prima di impazzire?” annota spesso Meg, mentre l’unico rifugio dell’animo diventa il liquore, usato per ingoiare più frequentemente le pasticche. Ma non tutto è come sembra e il finale cela un colpo di scena.
Anche qui il cortometraggio e diretto da un duo di registi, Alex Kinter & Erik Schuessler, che sanno usare le inquadrature, la malinconica colonna sonora e i ritmi tipici dei film horror e dei gialli di un tempo. L’attenzione ai dettagli, agli abiti di Meg, ai mobili e agli accessori d’epoca, denota un lavoro fatto con zelo e passione. Anne Beyer sembra uscita realmente da una pellicola d’epoca, muovendosi con finezza dal bordo piscina del titolo, al salotto, ai bui corridoi. Probabilmente la chiave della trama di Poolside prende in prestito un’idea già vista molte volte altrove, ma è pur sempre un’opera ben girata e apprezzabile. Non è poco per dei registi esordienti, i cui premi già raccolti in pochi mesi testimoniano la buona scelta fatta da Indiecinema nel proporre in rassegna questa “mistery tale”.

Massimo Brigandì

I due cortometraggi sono disponibili per la visione sulla piattaforma IndieCinema

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