Hikikomori forzato
Hikikomori è un termine giapponese che alla lettera può essere tradotto con l’espressione “stare in disparte”. In Giappone la usano per definire quelle persone, soprattutto maschi tra l’adolescenza e la prima età adulta, che per varie cause sviluppano una vera e propria avversione per il mondo esterno e finiscono per rinchiudersi nelle loro abitazioni. Per lungo tempo si è pensato si trattasse di un fenomeno culturale esclusivo del Giappone, ma si è poi capito che si tratta in realtà di una condizione psichica tipica delle società più industrializzate. Nel cortometraggio realizzato da Rachele Studer e Riccardo Eggshell, Claustrophobia or Everybody is Herodoc, e presentato nell’ambito del Indiecinema Film Festival, il protagonista, lo stesso Eggshell, si definisce ad un certo punto usando l’ossimoro hikikomori forzato.
Girato nel lungo periodo di quarantena che abbiamo dovuto sperimentare nell’ultimo anno, il cortometraggio mette in scena la figura di uno scrittore senza ispirazione, interpretato dallo stesso Eggshell, il quale sembra accettare senza problemi le nuove misure restrittive del governo. Ma dopo breve tempo un senso di claustrofobia ed alienazione comincia ad impadronirsi di lui. Ciò che viene messo in scena da Studer ed Eggshell è il flusso di coscienza di una mente allucinata e sempre più distaccata da sé e dal mondo. La sequenza iniziale pare ricopiare per costruzione ed atteggiamento la riduzione cinematografica del libro 1984 di George Orwell. È difficile stabilire quanto di retorico e quanto di cinematografico ci sia in questa scelta.
Personalmente l’aspetto più interessante pare proprio essere quello di esercizio di tecnica cinematografica; il cortometraggio, infatti, è stato girato in pieno lockdown ed ha dunqe messo gli autori davanti ad una serie di sfide tecniche e logistiche per portare a compimento l’opera, che sono state risolte sfruttando le nuove possibilità tecnologiche per girare tutto a distanza, ogni componente la troupe ed il cast nel luogo dove era in quarantena. Questa dinamica produttiva risulta particolarmente degna di nota poiché mostra le capacità di costruzione della realtà del mezzo cinematografico. Questo ultimo è stato sicuramente assai difficile e complesso. Come tutti i grandi momenti di crisi è stato rivelatore della natura profonda delle persone, portandone alla luce i lati migliori come i peggiori. Difficile dire chi abbia perso di più, chi abbia sofferto di più. Ognuno ha reagito a suo modo. Studer ed Eggshell hanno reagito realizzando questo cortometraggio.
Hanno dimostrato quanto il cinema possa essere vitale anche in situazioni dove pare impossibile.
Ed è comprensibilecome abbiano potuto, non i soli certo, sentirsi isolati dal mondo e scegliere di parlare di questa comune condizione optando per la strada dell’iperbole e dello psicologismo, echeggiando in qualche modo anche l’espressionismo tedesco. Peccato per il filo di retorica sulla nostra prigionia che proprio non sono riusciti ad evitare, fortunatamente non si tratta della nota principale della pellicola.
Luca Bovio
Il cortometraggio è disponibile per lavisione sulla piattaforma IndieCinema