Lassù sulle montagne
Dopo il quasi ovvio passaggio al Trento Film Festival, Stelvio – Crocevia della pace di Alessandro Melazzini è ricomparso alla Casa del Cinema di Roma, per dare vita a un’anteprima e a una conferenza stampa arricchite anche da qualche curiosa presenza. Ci riferiamo non tanto ai pur validissimi elementi del cast tecnico, come il direttore della fotografia Alessandro Soetje, quanto piuttosto a un personaggio da cui siamo rimasti letteralmente incantati, Arturo Quintavalla detto “Pompa”. Pensiamo non sia poi così facile vederlo scendere dalle sue montagne, perché a quei luoghi lo stagionato ma vitalissimo Pompa pare ancorato al pari di una stella alpina: un vero e proprio filantropo, con la passione del volo, capace peraltro di inventare strumenti preziosi per le operazioni di salvataggio in alta montagna, grazie alle sue istintive doti di meccanico. Ecco, un documentario del genere acquista senz’altro un valore aggiunto per via di simili incontri. Alessandro Melazzini, cineasta che quei posti li conosce bene avendoli frequentati sin dall’infanzia, è stato bravo innanzitutto in questo, nel dare la parola a persone che rispetto alla vita in montagna possono vantare l’approccio più peculiare e, volendo, positivo. Non solo personaggi importanti, quindi, come gli sciatori Gustav Thöni e Debora Compagni (le cui interviste si seguono comunque con interesse), ma anche piccole storie che meritavano senz’altro di essere raccontate.
Questa leggera e rapsodica indagine su costumi locali e stili di vita fa sì che il film non resti totalmente ingabbiato in quelli che sarebbero i suoi punti di forza, ma che al contempo rischiano di limitarne la libertà espressiva: da un lato gli scenari naturali talmente belli da togliere il fiato, dall’altro la necessità di ricordare i fatti della Prima Guerra Mondiale. Perché Stelvio – Crocevia della pace è anche rievocazione di un periodo terribile, in cui due grandi eserciti (quello italiano e quello austroungarico) giunsero a riprodurre gli orrori della guerra di trincea persino in alta quota, tra privazioni indescrivibili cui andarono incontro reparti dalla configurazione assai speciale, come gli Alpini per ciò che concerne l’Italia e i loro omologhi K.u.k. Kaiserjäger, schierati invece sul fronte della monarchia absburgica. Compiendo una scelta tutto sommato apprezzabile, Melazzini non ha voluto ricordarne il sacrificio inserendo le copiose (ma anche artificiose, vista la posa poco naturale imposta spesso ai soldati) fotografie che compaiono sui libri di storia militare, ed ha invece risolto questo capitolo del documentario seguendo le orme di chi, ancora oggi, si avventura su quei passi con rispetto e genuina curiosità, per raccogliere gli oggetti appartenuti alle truppe. Sulla qualità fotografica del film ci sarebbe davvero tanto da dire, ma l’idea può essere riassunta così: tra ottime riprese aeree e altre scene girate in condizioni climaticamente difficili, la troupe ha compiuto un lavoro splendido, nonché seducente per gli occhi. Immagini bellissime di pascoli, crepacci, torrenti di montagna, cime innevate, si mescolano così a quei piccoli ritratti umani che sembrano quasi ricordarci, da un punto di vista cinematografico, quanto di buono seppe produrre la narrativa di un Mario Rigoni Stern, nel rendere le montagne alpine coi suoi abitanti un tempio della miglior letteratura europea.
Stefano Coccia