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La parte bassa

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VOTO: 7.5

Pochi giorni fa ha fatto scalpore, in ambiente cinefilo, una lettera aperta dai toni informali e scherzosi, rivolta da Valerio Mastandrea a un maestro del cinema come Martin Scorsese, ribattezzato per l’occasione “Martino”. Lo scopo di questa iniziativa, tesa evidentemente a sollevare un piccolo polverone mediatico, risultava peraltro tra i più nobili: aiutare un cineasta italiano di grande spessore, finito purtroppo nel dimenticatoio per via del cinismo, dell’ipocrisia, del bigottismo e della scarsa riconoscenza che il nostro sistema produttivo ha in più occasioni sfoggiato, a realizzare finalmente un altro film. Stiamo parlando di Claudio Caligari. E per meglio circostanziare la vicenda, ci limitiamo a riproporre l’incipit dell’ormai famosa lettera:

“Caro Martino,
Ti scrivo per una ragione semplice. Tu ami profondamente il Cinema. In Italia c’è un Regista che ama il Cinema quanto te. Forse anche più di te. Certo non basta amarlo per farlo bene, il Cinema, ma questo signore prossimo ai 70 ha avuto poche opportunità per dimostrare il suo valore. Quando le ha avute, lo ha fatto. La sua filmografia fai presto a leggerla: Amore tossico, ’83, L’odore della notte, ‘98. Ti scrivo perché, dopo tanti anni di “resistenza umana” alla vita, a questo mestiere e alle sue dinamiche, questo signore ha avuto il coraggio di scrivere un nuovo copione, e di provare a girare un nuovo film. Da circa due anni un gruppo di amici di cui faccio parte lo sta supportando muovendosi nei meandri delle istituzioni e delle produzioni grandi e piccole ottenendo piccoli risultati ma importanti. Attorno a questo film si è creata un’atmosfera molto rara. In tanti lo vogliono fare per rispetto di questo signore e del più alto senso del Cinema e di chi vive per il Cinema. Molte delle eccellenze del nostro settore, hanno espresso la volontà di lavorare gratuitamente o di entrare in partecipazione. Ora, se starai ancora leggendo, ti chiederai «allora perché non riuscite a metterlo in piedi?» La risposta a questa legittima domanda ti obbligherebbe a un’altra domanda: «Ma è così difficile fare i film in Italia?»” Questo è un altro discorso. Più lungo e più maledettamente ovvio, almeno per noi..”

La lettera prosegue. Da parte nostra, oltre a sottoscriverne in pieno lo spirito e l’urgenza, vogliamo fare un paio di considerazioni: da un lato ci viene spontaneo sbeffeggiare quei pochi che, con toni alquanto snob, hanno a loro volta sbeffeggiato tale iniziativa, ignorando spesso persino le basi e cioè quale valore abbia la filmografia di Claudio Caligari. Se si pensa che tra gli inconsistenti capi d’accusa rivolti a Mastandrea vi sarebbero la sua esibita “romanità” o l’essersi rivolto a Scorsese, neanche fosse un reato di lesa maestà, col nomignolo “Martino”, la pochezza di tali argomentazioni risulta evidente. Meglio non perderci altro tempo.
Ma una bonaria tiratina d’orecchi al buon Valerio vogliamo farla anche noi. Semplicemente per l’essersi dimenticato, nel suo peraltro condivisibile appello, di accennare al Caligari documentarista. E come per compensare questo piccolo vuoto, vogliamo ora riproporvi un articolo da noi redatto nel 2012 a proposito di un documentario, La parte bassa, che Claudio Caligari realizzò a quattro mani con Franco Barbero nella seconda metà degli anni ’70. Abbiamo avvertito giusto il bisogno di qualche ritocco, la cui entità resta minima, per ricollegare ulteriormente all’odierno e avvilente quadro sociale italiano una recensione scritta due anni fa; ma per il resto sono la forte caratterizzazione politica e gli strumenti espressivi così vitali del lavoro di Caligari e Barbero, ad imporsi nuovamente all’attenzione.

Vero movimento

Primo movimento. Secondo movimento. Terzo movimento. Ovvero tre episodi per raccontare quel movimento, e qui l’accezione ridiventa politica, che aveva infiammato la Milano anni ’70 in preda a rosse speranze rivoluzionarie. Tra manifestazioni di massa e accese riunioni dei Giovani Proletari, fa uno strano effetto rivedere oggi La parte bassa (1977), opera alla quale Claudio Caligari e Franco Barbero cominciarono a dedicarsi nel novembre del 1976, testimoniando così le prime fasi di una lotta che nel corso dell’anno successivo avrebbe assunto dimensioni più ampie; l’effetto, come dicevamo, è piuttosto straniante, anche perché viene naturale, rispetto all’apatia, al conformismo e all’individualismo oggi imperanti, tracciare un paragone impietoso con le tensioni politiche e lo spirito di rivolta che all’epoca avevano contagiato, pur con tutte le ingenuità e le approssimazioni del caso, una parte consistente del mondo giovanile. Nel corteo ripreso all’inizio si sente persino inneggiare alle Brigate Rosse, da parte di una folla immensa. Oggi come oggi al termine delle manifestazioni più partecipate, quali sono ad esempio quelle della CGIL, capita che a salire sul palco siano sindacalisti opportunisti e addomesticati come la Camusso o, tanto per citare l’ultimo arrivato nel club dei trasformisti, Landini. Il divario è evidente, in più mette una certa tristezza.

Questo tuffo in un passato che vorremmo fosse ancora attuale è una delle chicche che seppero dare una connotazione particolarmente interessante alla retrospettiva, allestita nel 2012 in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia / Cineteca Nazionale, attraverso la quale il Festival di Roma volle rendere omaggio al cosiddetto “cinema espanso” del periodo 1962-1984: in quella occasione la Cineteca Nazionale presentò al Festival di Roma una notevole serie di restauri di film d’autore, che da parte nostra vorremmo veder circolare ancora di più, oggi come oggi. E questa idea di cinema espanso la si può intendere, riprendendo fedelmente quanto venne scritto sul catalogo, quale volontà di approfondire “i legami tra cinema e arti visive negli anni Sessanta e Settanta, quando anche nel cinema italiano emergono una serie di opere astratte e visuali che contribuiscono a ridefinire gli spazi e i modi della visione”. Vi è quindi, oltre alla rappresentazione immediata e diretta dei contrasti politici, sociali, un tendere verso la sperimentazione concettuale e visiva che trova ulteriore sottolineatura, per ciò che concerne La parte bassa, nell’utilizzo parziale del vidigrafo, lo strumento di ripresa messo a punto dal grande Alberto Grifi. Se non abbiamo fatto confusione a riguardo, ci risulta che tale dispositivo sia stato usato per il “terzo movimento” del film, quello in cui la chiave documentaristica viene abbandonata a favore di una messa in scena più originale e anti-conformista, coi corpi dei giovani protagonisti che sembrano muoversi liberamente per le vie della città. Ad ogni modo anche le parti più strettamente documentaristiche, come quella in cui vengono ripresi gli appartenenti ai Collettivi dei Giovani Proletari e le attività in cui sono coinvolti, hanno un respiro insolito, all’insegna della libertà espressiva e della curiosità con cui l’obiettivo della m.d.p. indaga il loro mondo. Giova ricordare, a questo punto, che tra i motivi di interesse che tale proiezione poteva vantare spicca la presenza tra gli autori di Claudio Caligari, regista poco incline ai compromessi; colui che, nell’approcciare il cinema di finzione, avrebbe poi realizzato un’opera di totale rottura come Amore tossico (1983) e successivamente il sottostimato L’odore della notte (1998), si era infatti distinto già dalla metà degli anni ’70 per il suo sguardo acuto sulla realtà, uno sguardo rappresentato da La parte bassa così come da altri documentari, in primis Droga che fare (1976) e Lotte nel Belice (1977), capaci di scavare a fondo nel disagio sociale e nel più veemente impegno politico di un decennio che pare, ormai, irrimediabilmente lontano.

Stefano Coccia

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