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Carte Blanche

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VOTO: 7

Con altri occhi

Quella raccontata da Jacek Lusiński in Carte Blanche non è una storia nata e cresciuta nella sua mente. Per quanto lo possa sembrare, la vicenda al centro del plot dell’opera seconda del cineasta polacco, presentata nel programma della seconda edizione delle Giornate del Cinema Europeo Contemporaneo di Milano a due anni di distanza dai prestigiosi riconoscimenti ricevuti nel circuito festivaliero internazionale (Gran Premio della Giuria allo Shanghai International Film Festival e Menzione Speciale al São Paulo International Film Festival), non è il frutto dell’immaginazione dello sceneggiatore di turno, ma un racconto che, seppur romanzato, ha radici profonde e vere, come vero è il protagonista che l’ha vissuta. Il suo nome è Kacper, un professore di liceo di Lublin molto amato dai suoi allievi, che per non perdere il suo posto e preparare bene i suoi studenti alla maturità, nasconde il fatto che sta perdendo la vista. La diagnosi medica non lascia alcuna speranza: il professore è minacciato da una cecità permanente e totale. Ma le sue reazioni avranno un’evoluzione: spaventato all’inizio, non cade nella disperazione. Al contrario, adempie alla sua missione educativa, allaccia un’amicizia vera e aiuta un’allieva ribelle.
A una prima lettura, la pellicola di Lusiński potrebbe dare adito e alimentare l’idea pregiudiziale di trovarsi al cospetto dell’ennesima vicenda ricattatoria o di vile strumentalizzazione, che porta sullo schermo la spettacolarizzazione del dolore e della sofferenza umana per fini squisitamente autoriali o ancora peggio di intrattenimento. Se è quello che pensate, allora toglietevelo subito dalla testa, tanto saranno sufficienti pochi minuti di visione per farvi ricredere. Il grande merito del film e di colui che lo ha firmato è proprio quello di non aver assecondato mai certe dinamiche, sfuggendo alle suddette tentazioni per narrare con tatto, delicatezza e rispetto, una storia di straordinaria quotidianità, di quelle dal forte impatto sociale, che testimonia la situazione complicata delle persone portatrici di handicap che ogni giorno lottano con tutte le forze contro due nemici altrettanto spietati:  la Società e la malattia. A un più comodo e scontato pessimismo, Carte Blanche risponde infatti con un’abbondante dose di ottimismo, di quella che spinge ad affrontare i problemi della vita di tutti i giorni, anche quelli che a prima vista appaiono insormontabili. Il film diventa di fatto un portatore sano di messaggi e non – come accade spesso in opere analoghe – di una morale a buon mercato che punta alla lacrima e non a lasciare una traccia più o meno significativa nello spettatore.
Di tracce nella mente e nel cuore dello spettatore la pellicola del regista polacco ne lascia molte, in particolare quando si focalizza sulla lotta portata avanti dal protagonista per conservare il proprio posto di lavoro, nonostante l’avanzare inesorabile della malattia degenerativa che lo ha colpito, o nel tentare di aiutare come può i suoi studenti più difficili. Meno efficace e incisiva, al contrario, quando sulla timeline si fa largo la linea sentimentale, ossia quella che lega Kacper alla sua collega Ewa. Quest’ultimo è forse il solo tallone d’Achille di Carte Blanche, lo stesso che in passato incise in maniera ancora più negativa su una storia simile come quella raccontata in A prima vista di Irwin Winkler. Fortunatamente la componente romantica subentra molto in là nella timeline, occupando una porzione ridotta e ininfluente rispetto a quella presente nel film del 1999. Fatto sta che certi limiti non impediscono alla pellicola di emozionare con una serie di scene di grande intensità e partecipazione, nelle quali la performance davanti la macchina da presa di un bravissimo Andrzej Chyra rappresenta un vero e proprio valore aggiunto, alla pari della regia di un Lusiński attento a far coesistere classicismo e soluzioni visive decisamente più moderne (pregevole in tal senso l’uso delle soggettive).

Francesco Del Grosso

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