Home Speciali Retrospettive Capitan Harlock – L’arcadia della mia giovinezza

Capitan Harlock – L’arcadia della mia giovinezza

191
0
VOTO: 9

Come la ribellione ebbe inizio

Un pirata tutto nero che per casa ha solo il ciel
Ha cambiato in astronave il suo velier (hurrà)
Il suo teschio è una bandiera che vuol dire libertà
Vola all’arrembaggio però un cuore grande ha (wow)

Chi non ricorda la sigla italiana di Capitan Harlock? Il più celebre pirata dello spazio fece la sua comparsa sugli schermi italiani il 9 aprile del 1979. E quella basata sul manga di Leiji Matsumoto, scomparso purtroppo nel febbraio 2023, è diventata ben presto anche da noi una delle serie animate più popolari.
Proprio in questi giorni, per celebrare i 45 anni dalla prima apparizione del cartoon giapponese, Nexo Digital e Yamato Video hanno riportato nelle sale un “classicone”, già ricomparso sul grande schermo nel 2014 con un nuovo doppiaggio: Capitan Harlock – L’arcadia della mia giovinezza, lungometraggio del 1982 diretto da Tomoharu Katsumata, che della celebre serie TV rappresenta un po’ il “prequel”.

In Capitan Harlock – L’arcadia della mia giovinezza si raccontano infatti la resa della Terra agli invasori umanoidi Illumidiani e tutti quei convulsi, tragici eventi, che spingeranno l’amatissimo protagonista con la benda sull’occhio a prendere il comando di una nuova nave spaziale, progettata dal fedele sodale Tochiro, per portare la sua ribellione nello Spazio profondo.
Di notevole impatto anche l’anteprima per la stampa organizzata qualche giorno fa al Cinema Moderno di Roma. E non solo per le simpatiche bende nere da pirata generosamente distribuite ai giornalisti, ma soprattutto per il saluto portato in sala da alcuni doppiatori dell’edizione 2014, in primis Loris Loddi e Mario Cordova, che qui presta la voce al capostipite del clan guerriero Phantom F. Harlock I.

Esplicata così la “cornice” dell’evento, resta da dire l’ovvio, ossia che Capitan Harlock – L’arcadia della mia giovinezza si conferma all’ennesima visione un piccolo capolavoro e un tributo sincero, amorevole, alle avventure di Capitan Harlock e alla sua figura tanto magnetica.
Epico. Tenebroso. Idealista. Romantico. A tratti disperato, come la tragica ed emblematica fine del pianeta Tocarga. Il lungometraggio in questione è un inno alla libertà (come il Maestro nipponico, Leiji Matsumoto, li sapeva ben concepire) animato con grazia sia nei momenti più melodrammatici che nelle imponenti battaglie spaziali. Ma è soprattutto una galleria di personaggi memorabili introdotti nel racconto con lo spessore giusto. Tanto gli eroi positivi che i loro antagonisti. Se la nobiltà d’animo dello stesso Capitan Harlock trapela a ogni gesto, cosa dire dell’umanità di Tochiro, del generoso sacrificio di Zoll o di eroine meravigliose come Maya, Emeraldas e La Mime? Mentre, sul fronte opposto, alla viltà del terrestre “collaborazionista” Triter e al sadismo dell’ufficiale alieno Morguson fa da contrappunto il comandante dell’esercito occupante Illumidiano, Zeda, d’indole severa ma animato da un apprezzabile spirito cavalleresco.

Ecco, da un lato è proprio il futuristico “presente” e dall’altro sono gli avventurosi flashback ambientati nel Novecento, con gli antenati di Harlock e Tochiro duramente impegnati nel secondo conflitto mondiale, a introdurre nel racconto interessanti riflessioni sullo “spirito del tempo”. Pur non essendovi in Capitan Harlock alcun ammiccamento nei confronti dell’ideologia nazista, semmai un filo di ammirazione nei confronti dell’orgoglio aristocratico prussiano o del codice dei samurai, il “Bushido”, i riferimenti iconografici agli eserciti sconfitti dell’Asse appaiono abbastanza evidenti. Anche quale rispecchiamento della triste condizione futura della Terra, potremmo parlare forse di un “eroismo nella sconfitta” di fordiana memoria, che ci piace però arricchire di certe immagini forgiate dal filosofo Julius Evola (con buona pace, pertanto, di coloro il cui bagaglio culturale non include la Destra) nel secondo Dopoguerra, ad esempio quelle presenti ne “Gli uomini e le rovine”, saggio pubblicato dall’eclettico pensatore nel 1953: “Ognuno ha la libertà che gli spetta, misurata dalla statura della dignità della sua persona.
Vivaddio, anche ad un occhio superficiale e “distratto” non sfuggirà il fatto che la statura del traditore Triter e quella del nostro eroe, Capitan Harlock, non sono riducibili alla stessa unità di misura. E, soprattutto, non poggiano sullo stesso sostrato etico.

Stefano Coccia

Articolo precedenteMegalopolis
Articolo successivoConcrete Rose

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

quattro × tre =