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Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe

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VOTO: 7.5

Cinediario animato

Il Floating Theater, arena galleggiante sul laghetto dell’Eur a Roma, tra agosto e settembre è stato sede di anteprime, recuperi ed emozionanti scoperte cinefile. Tra le “chicche” incrociate per l’occasione una menzione speciale va al lungometraggio d’animazione che lo spagnolo Salvador Simó (impegnato in precedenza con la mini saga di Paddle Pop Adventures) aveva realizzato nel 2018, ovvero Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe: affascinante, ardito esperimento filmico, in cui confluiscono un’animazione dal timbro alquanto tradizionale e preziosi materiali di repertorio, per raccontare i vari retroscena del controverso documentario girato da Luis Buñuel, dopo lo scalpore suscitato da Un cane andaluso (Un chien andalou, 1929) e L’età d’oro (L’âge d’or, 1930) in una delle aree più depresse e isolate della penisola iberica. Unico documentario nella filmografia del geniale cineasta, Las Hurdes/Terra senza pane (Las Hurdes/Tierra sin pan, 1932, 27 minuti) ebbe una gestazione particolarmente travagliata e dinamiche non meno problematiche e ansiogene nella circuitazione dell’opera, considerando l’iniziale ostilità espressa tramite feroci censure dalla stessa Repubblica Spagnola, pronta a cambiare idea solo con l’inasprirsi della guerra civile e in funzione meramente propagandistica e antifranchista.

Con sfrontatezza Salvador Simó ha preso di petto la figura e il temperamento artistico di Luis Buñuel, raccontando la rocambolesca produzione di quel film attraverso l’animazione, ma con il costante contrappunto delle sequenze più famose (e discusse) del documentario, estrapolate direttamente dal girato dell’epoca. In un ardito collage, per cui ad alternarsi sullo schermo sono la misera realtà dell’Estremadura così come la filmò Buñuel e disegni animati di gusto rétro, rivivono immagini la cui asprezza è di forte impatto anche oggi: paesani dall’aspetto trasandato, catapecchie malmesse e maleodoranti, bambini coperti di stracci, lavoratori sfranti dalla dura vita dei campi, feste di paese con galletti decapitati per omaggiare antiche tradizioni, ciuchini colpiti a morte dalle api, capre precipitate (o meglio, fatte precipitare) da qualche aguzzo costone roccioso.
Anche l’animazione assume toni inevitabilmente adulti. E Salvador Simó, nel delineare il carattere del geniale surrealista, riesce a focalizzarne tanto gli aspetti di maggior generosità che le possibili ombre, risultando tutt’altro che reticente riguardo al fatto che costui, oltre a riprendere le morti degli animali, ne aveva talvolta causato la fine cruenta per accrescere il livello di drammaticità e di realismo dell’opera. Qualcosa, per inciso, che importanti colleghi come Jean-Marie Straub gli avrebbero poi pubblicamente rimproverato, sul piano etico…
Tuttavia, per non circoscrivere la portata dello scabroso cortometraggio alla questione animalista, ci sembra opportuno estrapolare dal saggio di Pino Bertelli, Luis Buñuel – Il fascino discreto dell’anarchia, le seguenti parole: “I 27 minuti di Las Hurdes/Terra senza pane, contengono tutti i grimaldelli espressivi dell’opera buñueliana a venire… la segmentazione della storia, i movimenti lentissimi della macchina da presa intersecati con piani fissi per mezzo di un montaggio elementare, quasi inavvertibile ma fortemente metaforico, l’asciuttezza della fotografia, l’attorialità piegata ai contenuti morali, politici dello spagnolo… sono i segni, le marche, i percorsi di una ricerca estetica senza confronti.

Dal canto suo Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe porta a compimento una piccola magia, facendo rivivere una significativa, avvincente e per certi versi dolorosa (il regista riuscì a realizzare questa breve pellicola anche grazie al finanziamento di 20.000 pesetas offertogli dall’amico Ramón Acín, un operaio anarchico che aveva vinto quei soldi alla lotteria e che venne poi fucilato dai franchisti, assieme alla moglie, durante la Guerra Civile Spagnola) pagina di Storia del Cinema, affidando all’animazione sia le parti più realistiche del racconto che quei concisi inserti onirici, grazie ai quali lo stesso Surrealismo fa breccia, trasversalmente, nella caleidoscopica narrazione.

Stefano Coccia

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