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Belladonna of Sadness

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VOTO: 10

Il Diavolo, probabilmente

Nella serata di inaugurazione della seconda edizione del Fish & Chips Film Festival svoltosi a Torino dal 19 al 22 gennaio, la sala 1 del Cinema Massimo, gremita fino ai limiti del possibile, ha avuto il privilegio di ospitare l’anteprima nazionale della versione restaurata in 4K dello stupefacente cult anime Belladonna of Sadness (Kanashimi no Belladonna), firmato dal regista nipponico Eiichi Yamamoto nel 1973 (co-sceneggiato con Yoshiyuki Fukuda) e proiettato per la prima volta al Festival di Berlino dello stesso anno.
La storia si svolge in un medioevo immaginifico, in cui Jeanne e Jean si amano teneramente e vogliono sposarsi. Il feudatario locale, vedendo che Jean non è in grado di pagare la dote, non solo rifiuta loro il permesso ma violenta e fa violentare dai suoi accoliti la promessa sposa. Nella sua disperazione Jeanne entra in contatto con il Diavolo che le promette il potere in cambio dell’anima. Jeanne usa questo potere per portare il benessere nel suo villaggio ma l’invidia della signora del castello e delle altre donne la condannano all’esilio. Assetata di vendetta, trova soccorso di nuovo presso il Diavolo e, con il suo aiuto, torna al villaggio invaso dalla peste per guarire i corpi e corrompere le anime. Il feudatario, facendo leva sul suo vecchio amore per Jean, cerca di carpire alla bellissima Jeanne il segreto del suo potere di guarigione…
Liberamente tratto dal saggio “La Strega” di Jules Michelet (pubblicato originariamente nel 1862), scrittore, storico e insegnante francese, Belladonna of Sadness è un viaggio psichedelico visivo straordinario caratterizzato da cromature dai colori pastello alternate ad altre più accese; la pellicola si presenta nella cosiddetta animazione “limitata” ed è composta quasi interamente da fotogrammi fissi e con chiare derivazioni dalle figure dei tarocchi e dall’arte occidentale, soprattutto ispirata dai dipinti di Gustav Klimt, ma anche dalle opere di Egon Schiele e Odilon Redon, oltre che dallo stile pre-raffaellita e simbolista. E’ inoltre splendidamente accompagnato da una musica retrò di grande fascino, curata da Masahiko Satoh, veterano compositore, pianista e arrangiatore nipponico, e in cui tutte le canzoni sono interpretate dalla moglie Chinatsu Nakayama.
Belladonna of Sadness fa parte della trilogia sperimentale Animerama insieme a Le mille e una notte (1969) e Cleopatra (1970), anch’essi magnifici, ma di stampo meno serioso, ed è l’unico dei tre lungometraggi che non fu scritto o diretto da Osamu Tezuka, figura di grande spicco dell’animazione giapponese (autore tra gli altri degli anime Astro Boy, La principessa Zaffiro e Kimba, Il leone bianco), che lasciò la Mushi Production prima della realizzazione di Belladonna of Sadness, ma di fatto fu la mente dietro ad esso e a tutto il progetto. La pellicola, decisamente all’avanguardia per i tempi, all’uscita fu purtroppo un grosso insuccesso commerciale contribuendo alla bancarotta della casa di produzione verso la fine del 1973. Nel 2009 venne distribuito in Europa, Giappone e in alcuni cinema statunitensi selezionati, mentre nel luglio del 2015 la versione restaurata fu mostrata in anteprima al Japan Cuts (Festival of New Japanese Film) di New York, e successivamente al Fantastic Fest di Austin a settembre, prima di essere poi distribuita nei cinema di New York e San Francisco a partire dal 6 maggio 2016.
Del restauro si è occupata la compagnia privata americana Cineliciuos Pics che, grazie all’unica stampa in 35mm sopravvissuta in edizione integrale e appartenente al Cinematek, il Museo del Cinema di Bruxelles (che gentilmente ha acconsentito a fare una scannerizzazione in 4k delle sezioni mancanti dalla copia in loro possesso), è riuscita a recuperare anche la scena finale raffigurante il dipinto “La libertà che guida il popolo”, di Eugène Delacroix, mancante nella versione originale.
Belladonna of Sadness non è solo un anime di grande impatto visivo per l’incomparabile bellezza delle immagini combinate ad un contenuto estremo, ma colpisce anche e soprattutto per l’incredibile intensità del potente messaggio femminista che esprime e per l’audacia con cui lo fa.
Una vera e propria opera d’arte mesmerizzante, da riscoprire e amare, come si merita.

Ilaria Dall’Ara

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