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Baywatch

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VOTO: 5

Super-uomini e super-donne in super-spiagge

Le (grosse) produzioni statunitensi ispirate alle celebri serie televisive del passato da loro partorite, seguono sempre un’inconfondibile strategia di realizzazione. Accentuazione programmatica dei toni comici, “volgarizzazione” del culto ad uso e consumo delle nuove generazioni nonché inevitabile tendenza ad aggiornare alla contemporaneità, con tutti i rischi gli annessi e connessi, le avventure dei protagonisti. In tempi più o meno recenti sono stati esempi lampanti di tale, assai discutibile, pratica, lungometraggi come Charlie’s Angels (2000) diretto dal non identificabile – nel senso del nome d’arte e della regia a dir poco impersonale – McG, Starsky e Hutch (2004) del ben più qualificato Todd Phillips o 21 Jump Street (2012) di Phil Lord e Christopher Miller, forse l’unica trasposizione che abbia avuto un minimo di coraggio nel portare qualche decisa innovazione rispetto al modello ispiratore. Ad aggiungersi alla lista, peraltro non esattamente richiesto a gran voce, ecco arrivare pure la versione cinematografica di Baywatch, ovviamente tratta dalla serie tv da spiaggia nata sul finire degli anni ottanta in U.S.A. ma che, dopo una falsa partenza in patria, ha conosciuto gloria imperitura globale dai primi anni novanta in poi. Senza girarci troppo attorno il successo di Baywatch versione televisiva è stato dettato da Pamela Anderson e dall’incarnazione di un modello erotico patinato-edonistico in stile Playboy ma mitigato ad arte per un pubblico più vasto. Aspetto che, indubbiamente, non deve essere sfuggito – non ci voleva poi molto, in effetti, a notarlo – al mestierante regista Seth Gordon e agli sceneggiatori, chiamati a riportare in auge fisici palestrati e costumi rossi perfettamente aderenti alle forme femminili delle “bagnine”. Ed infatti, nel film, si prendono garbatamente per i fondelli i vari ralenties che contrassegnavano, con attributi ben in evidenza, le corse muliebri sulle spiagge.
Sfortunatamente Baywatch film, in pratica, finisce però qua. L’operazione di “smontaggio” si arresta bruscamente davanti alla palese incapacità degli autori di effettuare una scelta stilistica che sia una. Tentano nel prologo la strada della consacrazione supereroistica del protagonista maschile (Dwayne Johnson) per abbandonarla quasi subito passando al trash con doppi e tripli sensi di sconfortante effetto comico, come nella sequenza che vede coinvolto il pene incastrato dell’aspirante lifeguard Jon Bass. Altro cambio di registro con una trama gialla a dir poco pretestuosa che sembra ricalcata sull’inimitabile modello del primo Beverly Hills Cop (1984) di Martin Brest, ma senza la presenza di un mattatore come Eddie Murphy – nello specifico abbiamo Zac Efron a fare il gradasso: si capisce facilmente come il paragone nemmeno si ponga. E non per una questione epidermica… – ma soprattutto perché risulta in totale contumacia il riuscitissimo mix tra il genere leggero e quello poliziesco del film appena citato. Insomma, alla fine questo Baywatch-lungometraggio dall’inconcepibile durata di quasi due ore altro non è che una minestrina insapore con ingredienti riciclati di terza o quarta mano, appena speziata dalle gustose apparizioni di David Hasselhoff (nell’azzeccato ruolo del mentore di Dwayne Johnson, a passare metaforicamente il testimone del personaggio di Mitch Buchannon) e la “dea” Pamela Anderson, che compare alla fine, ovviamente in super slow motion, ma non in costume da bagno per la delusione degli attempati fan originali. Il tempo passa anche per lei, del resto. Oltre che per serial televisivi che dovrebbero giacere nell’immaginario comune senza conoscere un’inutile, nuova, visibilità da grande schermo a meno che non si possieda un’idea forte in grado di donarle nuova linfa. In tutta evidenza non è stato questo il caso.

Daniele De Angelis

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