Una tenera amicizia
Quando si vuol mettere in scena una storia che veda come protagonista uno stretto legame tra un uomo e un animale, si sa, il rischio di scadere in una pericolosa retorica e in prevedibili buonismi è sempre molto alto. Eppure, sin dai tempi del riuscito Torna a Casa Lassie! (diretto nel 1943 da Fred McLeod Wilcox), storie del genere suscitano sempre un appeal fuori dal comune su spettatori di tutte le età. Sarà (anche) per questo che produttori di tutto il mondo non si stancano mai di finanziare lungometraggi che trattino tale argomento. Ben venga, dunque, se – come poche volte accade – il lavoro di turno sia anche più che dignitoso. Uno degli ultimi prodotti così realizzati è, ad esempio, Alpha – Un’amicizia forte come la vita, per la regia di Albert Hughes (qui a lavoro senza il fratello Allen), dove viene messa in scena la singolare amicizia tra un ragazzo e un lupo.
Il periodo storico da cui tutto prende il via è la Preistoria. Keda (Kodi Smit-McPhee) è un adolescente che sta tentando di superare varie prove di formazione, al fine di entrare nella squadra di cacciatori capitanata da suo padre Tau. Un giorno, durante una caccia a un branco di bufali, il ragazzo verrà colpito e sbalzato da uno di essi in un crepaccio. Creduto morto da suo padre e dalla sua famiglia, il giovane si risveglierà solo poche ore dopo e – con un disperato tentativo di fuga – verrà portato lontano dalle acque e riuscirà miracolosamente a salvarsi. Sarà durate il suo percorso verso casa, che Keda avrà modo di imbattersi in un lupo capobranco. Avendolo lui stesso ferito al fine di difendersi, però, il ragazzo deciderà di non finirlo, ma, al contrario, di prendersi cura di lui.
Un coming-of-age tenero e lineare, dunque, questo Alpha. Il rapporto tra il protagonista e il lupo è, pertanto, messa in scena con molto garbo e delicatezza e, nel descrivere la nascita della loro amicizia, il regista non ha avuto paura di prendersi il tempo necessario, con tanto di indovinati silenzi e riusciti giochi di sguardi e di gesti tra i due. Se, però, da un lato, la tal cosa è decisamente riuscita, dall’altro troviamo soluzioni narrative e realizzazioni grafiche che sollevano non poche perplessità. Di fianco a scelte narrative in cui vediamo il ragazzo salvarsi in modo decisamente poco credibile, ecco una regia che, con ambienti realizzati esclusivamente in computer grafica, ci mostra immagini paradossalmente piatte, posticce, dagli effetti speciali addirittura raffazzonati. Se a tutto ciò aggiungiamo una storia che già di per sé, malgrado le numerose potenzialità e la bella amicizia messa in scena, fatica a decollare, in quanto carente di un reale, minaccioso pericolo (come tradizione favolistica necessiterebbe), ecco che il presente lavoro finisce inevitabilmente per perdere parecchi punti.
Eppure – questo bisogna riconoscerlo – nonostante l’elevato rischio di retorica, Albert Hughes è riuscito a mettere in scena qualcosa di vero e autentico, che, a modo suo e malgrado le suddette mancanze, è in grado di mantenere alto il livello di attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine. Cosa, questa, di certo non da poco.
Marina Pavido