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Alléluia

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VOTO: 7.5

L’amour fou lercio e destabilizzante di Fabrice Du Welz

Alléluia, secondo capitolo della cosiddetta “trilogia ardennese” aperta da Calvaire (datato 2004), è pura deflagrazione degli istinti, un incubo ad occhi aperti che rimane appiccicato addosso con tutto il suo fetore ammaliante e al contempo respingente.
L’ultimo tassello della (per ora) breve filmografia del belga Fabrice Du Welz – presentato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes 2014 – pone di nuovo al centro del narrato anime perse e malate spinte dalle più brutali pulsioni.
Come in Calvaire è di nuovo l’amore assoluto, lurido, desolato (e desolante) che muove tutto quanto: quello tra Michel e Gloria (ispirati ai realmente esistiti “killer della luna di miele”) è un amor fou laido ritratto da Du Welz in tutto il suo squallore: tema, impalcatura, anima di questa storia di follia, l’ennesima messa in scena dal regista. Alléluia non fa che ribadire ed amplificare le ossessioni di questo cantore di atavici istinti che covano nell’umanità reietta al centro delle sue opere.
Michel e Gloria rappresentano l’incrocio malato di solitudini diversamente disturbate che non potrà che sfociare nell’assoluto delirio, nell’atto estremo e – perché no – purificatorio (la scena della danza scomposta attorno ad un fuoco in piena notte): i due amanti sembrano vivere ai confini di un mondo che pare non li abbia mai davvero conosciuti e accolti, un mondo tinto di un grigio sordido in cui si lavano cadaveri in un obitorio per vivere, e si raggirano squallidamente donne mature e facoltose per sottrarre loro denaro.
Vittime e carnefici. Vittime che diventano carnefici: Michel sembra essere la (logica?) prosecuzione del Marc di Calvaire (non a caso entrambi interpretati da Laurent Lucas). Nella pellicola d’esordio del regista, infatti, lo avevamo visto nei panni di uno squallido cantante girovago da palcoscenici di quart’ordine, che per caso finiva nelle grinfie di un manipolo di folli bifolchi di un villaggio delle Ardenne perché creduto una sorta di reincarnazione di una donna-dea (forse mai esistita) da loro amata/venerata; mentre qui, divenuto vero e proprio carnefice, lo vediamo impegnato a circuire vecchie signore adescate attraverso siti di appuntamenti (simili a quelle che in Calvaire lo vezzeggiavano al termine delle sue esibizioni), irretite dai suoi modi seducenti e oscuri, che con la sua partner (in crime) arriverà ad ucciderle poi, poiché non può coesistere l’amore totale che destabilizza Gloria (l’ottima Lola Dueñas) e il proseguimento dell’attività criminale di Michel, per quanto in un primo momento accettata dalla donna. Perché l’amour fou ritratto in questo melò allucinato non può che rompere ogni tipo di argine morale. Gloria è come posseduta, fin dal primo incontro con Michel, da un demone che la divorerà velocemente e voracemente; e una volta spogliata da ogni inibizione, non potrà che deflagrare in pura follia (auto)distruttiva: pulsione di vita mortifera, ossessione priva di logica e compromessi. E infine Michel e Gloria diventano un tutt’uno, diretti verso un altrove onirico, quasi ultraterreno rosso-inferno che li/ci inghiotte (definitivamente?) nei magnifici e psichedelici titoli di coda. L’inferno della psiche, da cui sembra non esserci ritorno.

Fabrizio Catalani

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