Un contenuto esplosivo
Presentato in anteprima mondiale alla 16esima edizione del Bif&st, in concorso internazionale nella sezione Meridiana, Afrodite, il nuovo film di Stefano Lorenzi è atteso prossimamente nelle sale, laddove l’ultima fatica dietro la macchina da presa del regista toscano merita di essere fruito per godere a pieno della confezione. Con riprese subacquee d’eccezione, realizzate da un team tecnico altamente specializzato e oltre 36 ore di immersione in soli 10 giorni di lavorazione, la pellicola si propone come un’esperienza filmica potente, sensoriale e immersiva. L’elevata qualità audiovisiva che la caratterizza, che si manifesta sullo schermo attraverso immagini dal forte impatto visivo che portano la firma del direttore della fotografia Fabrizio La Palombara e in un impianto sonoro avvolgente che comprende anche le musiche di Bruno Falanga, è sicuramente il valore aggiunto di un’opera che lascia il segno. E non poteva essere altrimenti viste le maestranze coinvolte e le competenze tecniche e artistiche messe a disposizione della messa in quadro dall’autore. Il titolo in tal senso è già di per sé un biglietto da visita che anticipa le suddette qualità, con il richiamo alla mitologia greca e alla dea della bellezza e dell’amore. Due elementi che hanno dato forma e sostanza alla storia narrata da Lorenzi e alla sua messinscena. Se il primo viene violato e profanato, il secondo diventa un’occasione di rinascita. Il tutto lo ritroviamo nel mare, che in questo film, come ha dichiarato il cineasta di Lucca, è prigione e salvezza, oltre che silenzio che custodisce verità inconfessabili. Ma è anche l’unico luogo dove due donne, inchiodate a un destino che non hanno scelto, possono ritrovare la libertà e la propria voce. Del resto, come nei precedenti lavori dal taglio sociale (vedi Genova senza risposte, Nunca máis – La marea nera o la serie L’Ora – Inchiostro contro piombo), Lorenzi non si è limitato a raccontare una storia, ma ha sempre voluto andare più in profondità facendosi carico di tematiche, problematiche ed eventi dal peso specifico rilevante. La sua opera seconda dopo il bistrattato I calcianti per coerenza non poteva essere da meno, affondando le mani in argomentazioni di grande attualità: dal controllo alla liberazione, dalla violenza patriarcale ella resilienza femminile, passando per l’amore come possibilità di salvezza.
E poi c’è il mare, che in Afrodite è di fatto il terzo protagonista e al contempo la cornice di una vicenda ispirata a fatti realmente accaduti che affondano le radici in una delle pagine più oscure e poco esplorate della cronaca italiana. Siamo negli anni Novanta: nelle profondità del mare giace un relitto militare della Seconda Guerra Mondiale. Ma quel relitto non custodisce solo ruggine e storia: è una miniera di tritolo. Ed è lì, sotto cinquanta metri d’acqua, che la mafia va a fare scorta. Ed è sempre da lì che Lorenzi e il co-sceneggiatore Alessandro Nicolò sono partiti per raccontare la storia di Ludovica (Ambra Angiolini), una sommozzatrice professionista che si ritrova costretta a lavorare per la criminalità organizzata, a seguito di un ricatto legato ai debiti dell’uomo che amava. A tenerla d’occhio è Rocco (Gaetano Bruno), intermediario spietato e manipolatore. Insieme a loro, in quella salina abbandonata e isolata dal mondo, c’è Sabrina (Giulia Michelini), giovane donna cresciuta dentro la prigione di una relazione tossica, convinta di non meritare altro. Ogni immersione nel relitto è una discesa nella paura, ogni risalita una lotta per non affondare del tutto. Tra le due donne nasce qualcosa di inatteso, un legame che sfida le logiche di potere, l’oppressione, la legge del silenzio. In un mondo governato da uomini e da leggi non scritte, la loro complicità è la scintilla che può far saltare tutto.
La scrittura mescola sapientemente dramma storico e thriller per cucire insieme, attraverso gli stilemi e i linguaggi dei generi chiamati in causa, i tasselli di un’opera che oltre a fare luce su un mistero rimasto sepolto tra gli archivi giudiziari e i fondali innesca nello spettatore di turno un’esplosione di emozioni e tensioni cangianti. Nel passaggio continuo tra luci e zone d’ombre, in quella terra di mezzo tra bene e male, Afrodite trova e restituisce bagliori di poesia, lirismo e speranza parlando di un amore tanto puro quanto inaspettato nella componente romance che efficacemente è stata instillata tra le ramificazioni del racconto. È così che gli autori dello script alzano e abbassano la temperatura, affidando poi alle interpretazioni dai vari livelli d’intensità delle protagoniste Ambra Angiolini e Giulia Michelini il compito di regolarla. Performance, le loro, alle quali aggiungiamo quella altrettanto efficace di Gaetano Bruno, che sono rese ancora più autentiche grazie al lungo percorso di preparazione fisica e psicologica che le ha portate a conseguire il brevetto da sub per affrontare in prima persona le immersioni in profondità. Il ché rappresenta sicuramente sia un plus che un unicum per un progetto, il primo film made in Italy, che ha nella propria timeline oltre 35 minuti di sequenze subacquee, che trascinano lo spettatore in una dimensione nuova, mai esplorata prima nel nostro cinema. La mente in tal senso ritorna a quello spettacolo marino che Luc Besson con Le grand bleu prima e Atlantis poi aveva saputo portare sullo schermo. Quello offerto da Lorenzi nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa non è da meno e non ha nulla da invidiare a Sanctum. Uno spettacolo però che non è tecnicamente mai fine a se stesso o solamente una cornice alla vicenda narrata, ma una componente che dona al film una spinta propulsiva in più per diversificarsi e trovare la propria strada nel mercato e nel panorama audiovisivo nazionale e non solo.
Francesco Del Grosso









