Colpevole fino a prova contraria
Annunciato nella conferenza stampa capitolina come la possibile sorpresa del Concorso della 75esima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica, Acusada si è rivelata al contrario una delle pellicole più deboli della competizione lidense.
Eppure l’opera seconda di Gonzalo Tobal di carte in regola per ben figurare ne aveva in una selezione dal livello qualitativo così elevato, come da anni non si vedeva da queste parti. A fare ben sperare sulla bontà del film del cineasta argentino classe 1981 c’era prima di tutto l’interessante cammino fatto sino ad oggi sulla breve distanza, al quale è seguito nel 2012 il pregevole esordio con Villegas, presentato nello stesso anno al Festival di Cannes. E se non bastasse anche la presenza davanti la macchina da presa di un cast variegato formato da attori di peso (Leonardo Sbaraglia, Gael García Bernal, Inés Estévez e Daniel Fanego) e giovani promesse come la protagonista Lali Espósito faceva ben sperare. Il tutto, purtroppo, non è riuscito a garantire ad Acusada le difese immunitarie necessarie e indispensabili alla sopravvivenza sul grande schermo del prodotto finale. Difese, quelle erette dall’autore, che come avremo modo di confutare si sono rivelate del tutto insufficienti.
Sul risultato, infatti, pesano suo e nostro malgrado la presenza di non poche debolezze strutturali nella scrittura, che ne minano dall’interno e sin dalle pagine dello script il racconto nella sua interezza, il disegno di gran parte dei personaggi che lo animano e la drammaturgia nelle sue stratificazioni. Fragilità, queste, che mescolate a una confezione che per resa e impostazione sembra più adatta a una fruizione per il piccolo piuttosto che per il grande schermo, esattamente come accaduto Meredith – The Face of an Angel, la pellicola che Michael Winterbottom che racconta la vicenda dell’omicidio di Meredith Kercher. Quest’ultimo ha con il film del collega sudamericano oltre che analogie anche i medesimi vizi di forma. La diversità sta nel punto di vista con i quali i fatti vengono narrati, che nel caso della pellicola firmata dal cineasta britannico confluisce in quello di alcuni giornalisti che a vario titolo si sono occupati del caso. Acusada, al contrario, sposa il punto di vista della presunta colpevole, catapultando lo spettatore di turno nella vasca degli squali nella quale è stata gettata tanto dalle indagini quanto dai media e dall’opinione pubblica. Della serie sbatti il mostro in prima pagina, che in questa caso è Dolores, una ragazza di Buenos Aires che vive la vita della studentessa agiata fino a quando la sua migliore amica viene assassinata brutalmente. Due anni più tardi, è l’unica sospettata di un crimine che, catalizzando l’attenzione mediatica, la pone sotto i riflettori. Dolores trascorre le sue giornate preparandosi al processo, reclusa nella propria casa mentre i genitori fanno di tutto per difendere la figlia. Non basta avere il migliore avvocato; i genitori controllano ossessivamente tutto quanto ruota attorno alla ragazza: il suo sguardo, quello che fa, quello che mangia e chi vede. Ma mentre la data del processo si avvicina e la tensione cresce, nella famiglia si fa strada il sospetto e affiorano segreti. Con le spalle al muro, sempre più isolata e proprio quando ogni minimo errore potrebbe risultare fatale, Dolores mette l’intera strategia a rischio.
Di interessante, dunque, poteva esserci l’approccio alla materia e soprattutto gli intenti che hanno mosso il regista e il co-sceneggiatore Ulises Porra Guardiola in fase di scrittura. Quello di Tobal è in primis un interrogativo che riguarda la natura umana delle persone vere coinvolte in esperienze in cui il confine tra pubblico e privato è offuscato dalla violenza. Acusada, come si precisa a caratteri cubitali nelle didascalie iniziali, non è però la cronaca filmata o romanzata di un episodio specifico realmente accaduto, ma le analogie con certi efferati delitti e con i relativi sviluppi giudiziari non possono non riportare la mente principalmente al delitto di Perugia del 1º novembre del 2007. Gli accadimenti di entrambi hanno non pochi punti di contatto e questo fa pensare che il suddetto omicidio sia stato una fonte di ispirazione dalla quale attingere per dare forma e sostanza al plot e a gran parte delle sue dinamiche. Tuttavia gli sceneggiatori hanno voluto portare avanti la narrazione scorporandola su due piani drammaturgici e tematici: da una parte il classico legal-thriller modulato su schemi preconfezionati e ampiamente codificati dalle platee cinematografiche; dall’altra il ritratto che ne restituisce il controcampo umano. Piani, questi, che finiscono inevitabilmente con il convogliare in uno sguardo sul processo interno ed esterno che chiunque si ritrovi coinvolto in una situazione così complessa potrebbe vivere. Oltre agli aspetti strettamente connessi al crimine, le ripercussioni si allargano anche alla sfera familiare, sociale, politica e sessuale. Attraverso il palleggio insistito tra i piani, in Acusada abbiamo accesso al crimine e alla sua storia sempre dall’interno, con un occhio puntato sulla sfera intima dei personaggi e dei loro conflitti. Tuttavia tale vicinanza a coloro che si trovano sotto attacco di un fuoco incrociato non riesce, salvo rari passaggi (vedi la scena del pozzo o lo scontro notturno di Dolores con suo padre nel salotto di casa), a riportare a galla il tutto oltre la soglia della sufficienza.
Francesco Del Grosso