Quell’impietoso vuoto dentro di noi
Un ragazzo. Una ragazza. Un distributore di benzina. Notte fonda, nessuno in giro. Il ragazzo ha un piano: dare fuoco al distributore per dimostrare alla ragazza cosa sia realmente in grado di fare, al fine di stupirla. Le iniziali perplessità della ragazza. E poi, tutt’a un tratto, le fiamme che si propagano, la folle corsa in macchina, l’adrenalina che sale, fino alla tanto agognata quanto temuta esplosione finale. Il vuoto esistenziale, la mancanza d’affetto, un amore vero che, forse, non riuscirà mai a trovare un proprio, giusto compimento. È questo quello che viene messo in scena dal giovane cineasta toscano Adriano Giotti nel suo cortometraggio A vuoto. Tematiche, queste, che, volgendo uno sguardo d’insieme a tutta la cinematografia del regista – dai primi cortometraggi al lungometraggio Sex Cowboys, vincitore del Rome Independent Film Festival 2016 – sembrano ricorrere di volta in volta all’interno di tutte le storie fino ad ora messe in scena. Ed ecco che ciò che ne viene fuori è un ritratto realista ma speranzoso allo stesso tempo, disincantato, ma mai cinico, di una società – la nostra – che sembra aver smarrito sé stessa e la capacità di riconoscere le cose realmente importanti della vita.
Anche nel corto A vuoto, dunque, vediamo due protagonisti, due giovani ragazzi apparentemente agli antipodi, ma che, in un modo o nell’altro, sono entrambi vittime del mondo in cui viviamo. La ragazza, dal canto suo, sembra aver rinunciato (quasi) del tutto all’amore della sua vita, prigioniera di paure e convenzioni che l’hanno spinta in una storia alla quale sembra non appartenere. Il ragazzo (vero protagonista della storia), al contrario, crede ancora nell’amore e tenta in tutti i modi di lottare per ciò che più desidera. Al punto di far esplodere il distributore di benzina presso il quale lavora. Non vuole arrendersi, il nostro protagonista, all’evidenza dei fatti. Lo si evince dall’intenso primo piano in apertura ed in chiusura del cortometraggio, così come dalle ultime battute stesse, rivolte alla ragazza ormai andata via. Il ragazzo ha sì un vuoto dentro di sé, ma, al contrario del suo amore perduto, non ne viene sopraffatto.
Quali conclusioni si posso trarre, dunque, in merito? Forse che il nostro Adriano Giotti voglia dirci che, in fondo, nulla è perduto se c’è ancora la voglia di lottare per i propri sogni? O che, al contrario, chi sembra credere ancora che il mondo possa cambiare è, in realtà, soltanto un ingenuo sognatore senza speranza alcuna? Ai posteri l’ardua sentenza.
Al di là di ogni qualsivoglia soggettiva interpretazione, ciò che a noi – in questa sede – maggiormente interessa è la carriera stessa di Giotti, il quale, a sua volta, quale cineasta particolarmente prolifico, pur restando (per il momento, almeno) all’interno di un circuito indipendente, ha fatto sentire la sua voce ed è stato in grado di farsi apprezzare di volta in volta da un pubblico sempre più vasto. Malgrado i meccanismi, spesso deprecabili, del cinema italiano contemporaneo. Malgrado, appunto, un mondo – quello della Settima Arte – dove portare avanti le proprie idee sembra, oggi più che mai, un’impresa alquanto difficile, soprattutto per chi nasce come autore indipendente.
Marina Pavido