Un silenzio pieno di parole
Nel ciclo di proiezioni della prima giornata di programmazione della 19esima edizione di Cortinametraggio tra le opere che hanno maggiormente lasciato il segno c’è sicuramente A mosca cieca di Mino Capuano, approdata nel concorso della prestigiosa kermesse veneta dopo l’anteprima mondiale ad Alice nella Città nel corso della 18esima Festa del Cinema di Roma. Ed è proprio all’ombra delle Dolomiti che abbiamo potuto vedere e apprezzare la nuova fatica sulla breve distanza del regista classe 1994 di Marcianise, da lui scritta a quattro mani con Adriano Ricci. Un’opera della quale abbiamo apprezzato la delicatezza nello sguardo e nel tocco, tanto nella scrittura quanto nella messa in quadro, con il quale l’autore è riuscito a dare forma e sostanza sullo schermo al dolce racconto di un legame inaspettato che si viene a creare tra due esistenze agli antipodi ma accomunate dalle rispettive solitudini. Solitudini, quelle dei protagonisti, che entrano in contatto tra le mura di una casa mantenendosi però a distanza di sicurezza. Il corto ci porta al seguito di un giovane uomo che si introduce nell’abitazione di una anziana cieca per rubarle dei soldi. Tuttavia, mentre esplora l’abitazione, sviluppa un legame silenzioso con lei, come se la conoscesse da sempre. Un legame che però non avrà bisogno di parole.
Del resto si sa, perché lo abbiamo sentito ripetere miliardi di volte, che il silenzio vale molto più e Capuano lo ha ribadito ulteriormente con uno short che nei suoi quindici giri di lancetta a disposizione riflette sulla potenza delle azioni nel creare connessioni significative. Lo fa con un “gioco”, la mosca cieca del titolo, che coinvolge due personaggi che senza toccarsi e scambiarsi battute, ma con una serie di gesti, finiscono con il creare un “ponte” invisibile attraverso il quale si scambiano emozioni, sensazioni e stati d’animo. Il flusso generato diventa la materia prima che alimenta e stratifica la narrazione e la drammaturgia. Il tutto ruota e si sviluppa dunque tutto intorno a questo flusso e al non detto, al silenzio carico di elettricità che ne deriva e all’interazione ectoplasmatica che assomiglia a una danza di corpi che si sfiorano senza venire mai a contatto.
Il regista campano con la complicità della sua crew, a cominciare dal direttore della fotografia Michelangelo Maraviglia, rende questa “danza” una sorta di coreografia fatta di assoli e pas de deux tra le stanze di un appartamento che si trasformano per l’occasione in un “palcoscenico”. La cinepresa si fa testimone di questi passaggi lirici e poetici, osservando e catturando i singoli movimenti delle performance attoriali di Ciro Petrone e Daria Deflorian che con grandissima intensità riescono a trasmettere tutto attraverso il corpo, le espressioni e una potentissima comunicazione non verbale fatta di silenzi e non detti.
Francesco Del Grosso