Home In sala Ancora in sala À la recherche

À la recherche

127
0
VOTO: 9

Alla ricerca del copione perduto

Proustianamente ispirato, confortato dalla complicità pressoché totale di Anne Parillaud sul set, Giulio Base ha donato alla Festa del Cinema di Roma 2023 quello che risulta ad oggi il suo lungometraggio più ambizioso. Parimenti riuscito? Chissà, siamo pronti a scommettere che tra gli stessi addetti ai lavori qualcuno sarà uscito dalla sala stordito, persino un po’ irritato, di fronte a questa overdose di cultura cinematografica e letteraria, diluita in un’ora e mezza circa di schermaglie continue tra i due protagonisti. Per chi vi scrive invece À la recherche ha rappresentato un’emozionante scoperta, vissuta sul filo del rasoio, affrontata con pari intensità sul piano intellettuale e su quello dei sentimenti, anche i più scorbutici e contraddittori, espressi dagli interpreti in scena. Insomma, una “Madeleine filmica”, perdonateci la parafrasi a dir poco scontata, il cui retrogusto può restarti incollato al palato per ore e ore, dopo aver suscitato sul momento una miriade di suggestioni cinefile e non.

Inserito a Roma nella variegata, caleidoscopica sezione Freestyle, il lungometraggio di Giulio Base mette in scena i tormenti creativi (e personali) di una francese altera e di un cinematografaro italiano in crisi, i quali, essendo in possesso di qualche indiscrezione sulle difficoltà incontrate da un ormai anziano e malconcio Luchino Visconti nel concretizzare un suo vecchio sogno, ovvero la versione cinematografica del monumentale “Alla ricerca del tempo perduto”, si sono isolati nella bella villa di lei per lavorare a una sceneggiatura che soddisfi sia il Maestro sia l’inseparabile Helmut Berger, suo partner nella vita come anche sul set.
Non c’è quasi bisogno di arrivare ai titoli di coda, dove viene sciorinato tra l’altro l’elenco omerico di tutti i testi, saggistici e biografici, che Giulio Base e il co-sceneggiatore Paolo Fosso hanno affrontato nel corso della loro personale ricerca, per intuire come si sia voluto dare profondità allo script indagando e padroneggiando adeguatamente una materia tanto insidiosa. Eppure non vi è traccia di nozionismo, nella resa filmica di questo loro azzardo. Al contrario, dialoghi traboccanti di ironia e di velato amarcord tengono sempre vivo questo gioco a due, espresso così bene dai protagonisti anche a livello fisico, di pura presenza scenica.

Ciò che ne deriva è un serratissimo kammerspiel che nella freschezza mai superficiale di certi duetti pare occhieggiare a Rohmer (in particolare) e ad altri maestri della Nouvelle Vague, che nella fine tessitura dei dialoghi e delle atmosfere rimanda magari al cinema di Manoel de Oliveira (per il quale una location del genere sarebbe stata perfetta), ma sulla cui natura para-teatrale di gioco al massacro aleggia pure lo spirito del miglior Polański. Difatti, a margine del loro difficoltoso parto creativo, i personaggi di Giulio Base e Anne Parillaud si stuzzicano, si provocano, si tentano a vicenda, condendo così la loro (neanche troppo) sotterranea sfida intellettuale (in cui il peso delle rispettive provenienze continuamente si avverte) di tutto l’armamentario del più classico gioco di seduzione, fatto di ribaltamenti continui. In due tengono così bene la scena, che quando dopo circa un’ora di denso racconto cinematografico un personaggio minore fa capolino, per pochi istanti, nella villa, pare quasi di assistere all’atterraggio di un UFO.

Vieppiù, nella sua veste registica Giulio Base conferma l’avvenuta maturazione di uno sguardo che non accompagna il gioco in maniera scolastica, trita, scontata, ma movimentando ogni scena con variazioni di messa e fuoco e altri accorgimenti legati alla profondità di campo, con prossemiche tanto studiate quanto a volte selvagge e avvincenti (vedi anche l’irrefrenabile balletto dei protagonisti prima e dopo i titoli di coda), con continue variazioni di ritmo e di angoli di ripresa anche in corrispondenza dei così fitti battibecchi tra lui e lei. Sui contenuti si aprirebbe poi un capitolo così ampio da poterci scrivere un trattato. Spaziando dall’esegesi dell’opera proustiana alla complessa figura di Visconti, dal ricordo nostalgico (e a tratti scherzoso) dell’età d’oro dell’industria cinematografica italiana alle tensioni politiche degli anni ’70, dall’ostracismo di natura ideologica del PCI nei confronti di certi artisti (vedi Germi) all’irrompere dell’emancipazione femminile nei costumi dell’epoca, Giulio Base e Paolo Fosso hanno messo davvero tanta carne al fuoco. Senza però mai rischiare di bruciarla. Servendola semmai, come è d’uopo per certi aspri confronti uomo-donna, al sangue.

Stefano Coccia

Articolo precedenteDiabolik chi sei?
Articolo successivoThe Monk and the Gun

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

20 − 4 =