Genitori e rivoluzionari
Un semplice interludio, i due ultimi lungometraggi “sentimentali” girati da Paul Thomas Anderson? Oppure, verosimilmente, uno sguardo maggiormente diretto su ciò che lo ha sempre interessato? Vero, sia Il filo nascosto (2017) che Licorice Pizza a prima vista potrebbero sembrare film anomali nella filmografia di Anderson. Invece è l’esatto contrario. Si tratta di un corpus unico, un prisma luccicante dove cambia solamente il punto di osservazione.
Diamo quindi il benvenuto anche a Una battaglia dopo l’altra, traduzione fedele di One Battle After Another. Ancora, dopo l’incredibile Vizio di forma (2014) una trasposizione da Thomas Pynchon, il più “intraducibile”, dal punto di vista cinematografico, degli scrittori americani. Stavolta però usato solo come spunto, per raccontare una storia universale che si dipana nel corso degli anni, e tuttavia terribilmente moderna. Guarda caso (anche) una storia d’amore, prima fisico e successivamente filiale. In un mondo preda – anche qui nessuna novità – del caos più assoluto, tra impulsi di cambiamento radicale e determinazione a mantenere un ferreo status quo.
Anni prima Bob Ferguson (un impagabile Leonardo DiCaprio) cercava un senso nella vita. Lo trovò nella propria esperienza nel campo degli esplosivi. Si unì ad un gruppo anarchico, French 75, compiendo una serie infinita di attentati ma scoprendo anche l’amore, nell’afroamericana Perfidia, sua collega molto determinata. Nasce una bambina, ma ovviamente qualunque movimento diciamo illegale, ha la propria nemesi. Nell’occasione si tratta del colonello fascistoide Steven Lockjaw (un mirabile Sean Penn, dal taglio di capelli da vedere senza descriverlo), personaggio che, dal mondo reale, se ne porta dietro una moltitudine, proveniente anche dal composito universo italico. Eppure le due controparti, impegnate in una lotta tutt’altro che priva di colpi di scena lunga l’intera durata Una battaglia dopo l’altra, non hanno fatto i conti con il cosiddetto dark state, una loggia di potere dal ridicolo nome “i pionieri del Natale” che può decidere di vita o morte su qualsiasi evento accada negli States e probabilmente oltre. Il caos autentico, come si scriveva poc’anzi.
E allora, in una lotta tra fazioni già sconfitte senza saperlo, ecco la disperazione dell’amore. Un amore tra padre e figlia che non può avere eguali. Perfidia scompare tempo prima e Willa – questo il nome della bambina diventata con gli anni adolescente di tempra – viene rapita dalla frangia di Lockjaw. Con Bob a cercare le vecchie conoscenze – tra cui spicca un esilarante Benicio Del Toro – per tornare in azione, con gli spettatori accompagnati dalla maestria di P.T. Anderson in regia e da una colonna sonora da standing ovation dell’amico Jonny Greenwod nonché estasiati da cotanta bellezza visiva.
Lo sapeva benissimo Thomas Pynchon quando scrisse “Vineland” oltre trent’anni orsono. Ne è perfettamente consapevole Paul Thomas Anderson nella sua acuta direzione di Una battaglia dopo l’altra. Lo sappiamo, in fondo, anche noi spettatori, quando osserviamo a distanza le tragiche vicende che appestano il mondo. La battaglia è persa. L’unica che avrebbe contato davvero, quella che avrebbe delineato il volto di un’umanità finalmente mai più schiava della violenza e del conseguente orrore. Eppure, anche quello che è il più tragico, ironico, persino satirico, lungometraggio di Paul Thomas Anderson, si chiude con una nota di speranza. Le nuove generazioni, chissà: Will(a). Scomponendo il suo nome c’è un verbo al futuro, declinato al femminile. Forse davvero solo le donne potranno salvarci, prendendo definitivamente in mano una situazione quantomai critica.
Daniele De Angelis